InfoPal. A cura di Lorenzo Poli. La proposta di corridoi umanitari da Gaza verso il sud del Paese è stata l’unica idea che i Paesi europei hanno avuto per la soluzione del conflitto tra Israele e Hamas e per il genocidio in corso. L’unica insieme alla richiesta di “aiuti umanitari”.
Nulla di più ipocrita poteva capitare, proprio quei Paesi che mandano armi ad Israele per massacrare il popolo palestinese.
Mentre Israele bombarda Gaza, oggi si sta assistendo ad una “Nakba strisciante” in Cisgiordania, dove l’occupazione coloniale israeliana continua a condurre soprusi, violenze militari, abusi sulla popolazione, esproprio di terre, arresti arbitrari ed uccisioni.
La Giordania è vista come Paese che potrebbe ospitare i profughi palestinesi, grazie ai corridoi umanitari, ma la Giordania ha detto che non li accoglierà. Perché?
La ragione non nasce nel rifiuto dell’accoglienza in “termini europei”, ovvero dalla retorica per motivi razzisti o xenofobi per la quale non si vorrebbero i profughi palestinesi sul territorio giordano, ma si trova oltre la retorica, ovvero nella realtà dei fatti concreti: nessun capo di Stato arabo ha intenzione, oggi, di passare alla storia come colui che accetterà l’ennesima Nakba, ovvero “catastrofe” contro il popolo palestinese.
I trasferimenti forzati, che riguardano 1.400.000 palestinesi dentro Gaza che vengono spinti verso il sud della Striscia, sono nella strategia di Israele la porta che si apre verso il Sinai con il fine di svuotare, ripulire, etnicamente la regione costiera.
Ad affermarlo è stato il diplomatico israeliano Danny Ayalon ed ex-ministro degli Esteri del governo israeliano. Qual è, dunque, la logica? Svuotare Gaza per eliminare Hamas? No, solo un ingenuo potrebbe pensarlo. La strategia d’Israele è svuotare le terre di Gaza dei palestinesi affinché queste siano nuovamente, in barba agli ormai disattesi Accordi di Oslo del 1993, colonizzabili.
Questa è la stessa percezione che hanno i palestinesi, esattamente come altri Paesi arabi come la Giordania e l’Egitto che rifiutano, oggi, l’accoglienza dei profughi palestinesi non per indifferenza verso la situazione, ma per sentimento panarabo: difendere il diritto dei palestinesi ad avere una terra, ad autodeterminarsi, ad avere uno Stato indipendente.
L’Egitto, nella sua instabilità, sa che la popolazione gazawi una volta trasferita nel Sinai non sarà più fatta rientrare a Gaza. Sicuramente il presidente El-Sisi non ha alcuna intenzione di mettere in gioco la sua presunta rielezione, a dicembre 2023, con una sua eventuale complicità nei crimini contro il popolo palestinese.
A confermare questa strategia di Israele è un documento tecnico, pubblicato più di una settimana dopo l’attacco a sorpresa di Hamas alle basi militari israeliane e ai kibbutz, dall’Istituto per la Sicurezza nazionale e la Strategia sionista, chiamato: “piano per il reinsediamento e la stabilizzazione finale in Egitto dell’intera popolazione di Gaza”, basato sulla “rara e unica opportunità di evacuare l’intera Striscia di Gaza” offerta dall’ultimo assalto israeliano all’enclave costiera assediata.
Pubblicato in ebraico sul sito web dell’organizzazione, il documento è stato redatto da Amir Weitman, “un gestore di investimenti e ricercatore ospite” presso l’Istituto che guida anche il forum liberale del Partito di governo israeliano Likud. Il documento inizia rilevando che ci sono 10 milioni di unità abitative sfitte nel vicino Egitto che potrebbero essere “immediatamente” occupate da palestinesi. Weitman ha poi assicurato i lettori che “il piano sostenibile si allinea bene con gli interessi economici e geopolitici dello Stato di Israele, dell’Egitto, degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita”. La proposta di pulizia etnica del Piano Weitman fa eco ai piani di trasferimento forzato avanzati nei giorni scorsi da ex funzionari israeliani, capitalizzando sugli ordini di evacuazione impartiti all’intera popolazione civile del Nord di Gaza dall’esercito israeliano.
Non solo, il Piano Weitman fa di tutto per spingere l’Egitto ad accettare i profughi con la promessa di una rivitalizzazione dell’economia egiziana come “uno stimolo immediato” che “fornirà un enorme e proficuo beneficio al regime di al-Sisi”.
La pulizia etnica di Gaza significherebbe, secondo il Piano Weitman, la fine di “incessanti e ripetuti cicli di combattimenti, che infiammano il fuoco dell’odio contro Israele”. Inoltre, “la chiusura della questione di Gaza garantirà una fornitura stabile e maggiore di gas israeliano liquefatto all’Egitto”, proveniente dalle vaste riserve palestinesi sequestrate da Israele vicino alle coste di Gaza.
I Paesi arabi hanno capito che non devono in alcun modo cedere alle strategie coloniali ed imperialiste di Israele. Le 72 ore di tour del segretario di Stato USA Anthony Blinken nelle capitali arabe sono state 72 ore di ripetuti NO: no all’idea di caricare sulle spalle dei capi di Stato arabi la responsabilità della questione palestinese con queste condizioni. A ribadirlo sono anche i Paesi islamici più moderati come la Giordania. Re Abdallah II di Giordania ha dichiarato che quella dei profughi palestinesi è una linea rossa che non va valicata. I palestinesi non usciranno dalla Palestina, anche perché molti affermano che preferiscono morire nella loro terra che passare la vita in umiliazione in diaspora.
Il sentimento panarabo oggi è fondamentale contro il Piano Weitman, contro il transfert dei palestinesi da Gaza, contro la strumentalizzazione da parte d’Israele dei “corridoi umanitari” per svuotare e colonizzare Gaza e distruggere Hamas, contro l’idea di confinare “momentaneamente” i palestinesi nel Sinai per poi lasciarli definitivamente lontano dalla loro terra.
La strategia di Israele di usare il finto umanitarismo contro i palestinesi, trovando l’avallo anche dell’Occidente (Unione Europea e Stati Uniti), in realtà è l’ennesima operazione di guerra che lo Stato sionista perpetra nei confronti dei palestinesi.
Secondo il filosofo e giurista tedesco Carl Schmitt (Plettenberg, Vestfalia, 1888-1985), una delle menti speculative più raffinate che l’Europa ha prodotto negli ultimi due secoli, l’utilizzo propagandistico del termine umanità e dei riferimenti dell’umanitarismo, caratteristici della modernità, altro non sono che strumenti dell’imperialismo, e specialmente dell’imperialismo economico.
Con la questione palestinese siamo di fronte ad un nuovo tipo di imperialismo umanitario, diverso da quello che abbiamo visto in Iraq, Siria, Afghanistan, dove a chiamarsi “umanitarie” erano proprio le guerre e le bombe definite con le operazioni di “peacekeeping”.
Nella questione palestinese, sono le stesse operazioni umanitarie, i “corridoi umanitari” a diventare un modo legale per svuotare una popolazione della propria terra per poi colonizzarla. Oltretutto l’artefice di questa strategia è Israele, il Paese che in assoluto ha violato più di tutti il diritto internazionale e se ne frega dei richiami dell’ONU sugli insediamenti illegali. Davvero si può essere così ingenui da pensare che Israele farebbe rientrare a Gaza la popolazione gazawi una volta terminata l’Operazione Spade di ferro? Se non ha ancora permesso ai palestinesi in diaspora dal 1948 di rientrare nella propria terra, crediamo veramente che lo farebbe con i palestinesi gazawi oggi?
Il Piano Weitman è un piano neocoloniale, suicida per la popolazione gazawi e strategico per Israele al fine di portare a termine la sua occupazione coloniale. Il tutto viene spacciato per esigenza umanitaria, ma in realtà è “imperialismo umanitario” al fine di spostare nel Sinai la popolazione palestinese con i “corridoi umanitari”.
Il Piano Weitman, come l’imperialismo umanitario, è l’emblema dell’ipocrisia insita nell’atteggiamento di fondo delle democrazie liberali occidentali che avallano la guerra e il genocidio di popoli per i propri interessi economici in nome dell’umanitarismo. I Paesi arabi non devono cedere a questo ricatto.
(Fonti: https://www.youtube.com/watch?v=bhcrMoQ56dM https://www.invictapalestina.org/archives/49618).