Presidente israeliano sfida l’ONU e chiede che il genocidio a Gaza vada avanti

Tel Aviv. Il presidente israeliano Isaac Herzog ha sfidato la risoluzione sul cessate il fuoco approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite lunedì 25 marzo, chiedendo che la campagna contro Gaza continui fino a quando il leader locale del gruppo Hamas, Yahya Sinwar, non sarà catturato – “vivo o morto” – e i prigionieri di guerra israeliani non saranno rilasciati.

Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza sono vincolanti; in teoria, il loro mancato rispetto comporta sanzioni e persino un intervento militare da parte della comunità internazionale. Tuttavia, nulla indica che Israele si conformerà alle misure. A tre giorni dalla ratifica del cessate il fuoco “immediato” di due settimane, gli attacchi su Gaza continuano.

“Questa è la realtà – e il mondo deve affrontarla – tutto inizia e finisce con Sinwar”, ha detto Herzog ai coloni estremisti nella Gerusalemme occupata. “È lui che ha ordinato l’attacco di ottobre, che da allora ha cercato di spargere sangue innocente, che fa di tutto per distruggere la coesistenza nel nostro Paese e nella regione, per seminare discordia tra noi e il mondo”.

“Sinwar cerca il terrore e il mondo intero deve sapere che la responsabilità è sua e solo sua”, ha aggiunto Herzog. “Non funzionerà, non lo permetteremo”.

Sebbene la resistenza contro il colonialismo e l’occupazione sia del tutto legittima secondo il diritto internazionale – compresa la resistenza armata – Israele e i suoi alleati continuano a descrivere le reazioni dei gruppi palestinesi come “terrorismo”.

La risoluzione dell’Assemblea Generale A/RES/38/17 del 22 novembre 1983 ribadisce la “legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dalla dominazione coloniale, dall’Apartheid e dall’occupazione in tutti i modi possibili, compresa la lotta armata”.

Le dichiarazioni di Herzog – che parla di “inizio e fine” con Sinwar – ignorano anche 75 anni di Apartheid e pulizia etnica nella Palestina storica, 56 anni di occupazione militare di Gerusalemme e della Cisgiordania e 17 anni di assedio brutale contro la Striscia di Gaza.

Ribadendo il suo rifiuto dei negoziati per uno scambio di prigionieri con Hamas, mediati dal Qatar, Herzog ha dichiarato: “In questo momento, dobbiamo rimanere uniti e determinati. Israele sta facendo tutto il possibile per riportare a casa gli ostaggi, nei campi più disparati. Alla fine, non c’è scelta. Dobbiamo continuare a lottare”.

Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich, leader del partito fondamentalista Sionismo Religioso, ha commentato la crisi dei rapporti tra il governo di Benjamin Netanyahu e l’amministrazione democratica statunitense di Joe Biden, sottoposta a pressioni interne in piena campagna elettorale.

I Paesi – alleati strategici dall’avvento di Israele nel 1948 – esprimono divergenze su un’invasione di terra della città di Rafah, nell’estremo sud di Gaza, al confine con l’Egitto, dove trovano rifugio 1,5 milioni di rifugiati. Netanyahu insiste sull’attacco.

Lunedì, gli Stati Uniti hanno dimostrato un leggero cambiamento di posizione in seno al Consiglio di Sicurezza astenendosi dalla risoluzione sul cessate il fuoco, dopo tre veti in difesa di Israele. Tel Aviv ha risposto annullando il viaggio di una delegazione politica a Washington.

Secondo Smotrich: “Se qualcuno crede ancora che ci piegheremo alle pressioni internazionali, deve capire che entreremo a Rafah. Apprezziamo l’amicizia, ma ci sono dei limiti e insistiamo sulla nostra posizione. Cedere alle pressioni e fermare la guerra sarebbe una minaccia per Israele”.

La mossa ha creato una nuova spaccatura internazionale. Washington insiste sulla protezione di Israele, sostenendo che la risoluzione è “non vincolante”, anche se la Carta delle Nazioni Unite afferma espressamente il contrario. Martedì 27, la Cina ha sottolineato che le risoluzioni dell’organismo sono vincolanti per tutti gli Stati membri.

Israele sta conducendo attacchi indiscriminati su Gaza dal 7 ottobre, come rappresaglia per un’azione transfrontaliera del gruppo Hamas che ha catturato coloni e soldati. Secondo l’esercito israeliano, in quell’occasione sono morte circa 1.200 persone.

Tuttavia, secondo quanto riportato dal quotidiano Haaretz, una parte considerevole delle vittime è stata causata da “fuoco amico”, in base agli ordini registrati dei capi militari israeliani di sparare agli ostaggi e alle case dei civili.

Nonostante l’ordine della Corte internazionale di giustizia (ICJ) dell’Aja del 26 gennaio, Israele impone ancora un assedio militare assoluto su Gaza – senza cibo, acqua, medicine, elettricità o carburante.

Le azioni israeliane sono punizioni collettive, crimini di guerra e genocidio.

(Fonti: MEMO, agenzie).