Betlemme – InfoPal. Il Land Research Center (Ircj) ha rivelato quanto si cela dietro la decisione giudiziaria israeliana per la demolizione di alcuni villaggi palestinesi ad est di al-Khalil (Hebron): “Il vero scopo è radere al suolo non 8 villaggi palestinesi, come è stato ampiamente riportato dalla stampa, ma molti di più”.
Ecco i nomi dei villaggi colpiti dal provvedimento giudiziario: Tubban, Safai Foq e Safai Tahet, Fakhit, Halawa, al-Markaz, Janaba Foq e Janaba Tahet, Kharruba, Tuba, Mafqara, Sarura e Mugayyar al-‘Abid.
Questi villaggi si estendono su una superfice totale di 56mila ettari. Per il ministro della Difesa di Israele, Ehud Barak, le demolizioni saranno condotte previa deportazione degli abitanti palestinesi programmata una settimana prima. Si tratta di circa 1.500 palestinesi.
Questa scelta segue un lungo periodo di subordinazione al quale sono stati sottoposti in passato i palestinesi che risiedono nei villaggi summenzionati e la cui libertà di movimento era stata fortemente limitata da cancelli e barriere posti da Israele agli ingressi dell’area. Ponendo la zona confiscata sotto dominio dell’esercito, si privano i legittimi proprietari del diritto di agire.
Le quattro colonie illegali israeliane che sorgono in quest’area sono: Karmel, abitata da 321 coloni, Ma’on con 327, Bet Yatir, anch’essa con 327 coloni, Swisa con 643 coloni. Essi controllano 3mila ettari di terra. A queste si aggiungono otto avamposti coloniali: Fattoria Ma’on e Tala 83, Avijal e Karmel Gar, Mijan David e Fattoria Ma’on Vecchia, Ma’on Est e Masudaat ebraica.
Secondo gli esperti del Centro palestinese, la decisione di Barak è un ausilio alle attività dei coloni, già avviate nell’area molti anni fa. Si menzionano quelle dei coloni di Bet Yatir, i quali, al fine di espandere l’area sotto il proprio controllo, hanno piazzato cinque caravan e hanno devastato parte del villaggio palestinese di Susiya per lasciare spazio ai loro progetti edilizi.
Dagli anni ’70 i palestinesi di questi villaggi subiscono la violenza dei coloni israeliani e da allora oltre 30mila ettari di terra sono stati confiscati dall’esercito israeliano. Si tratta di zone incluse nell’area C, sottoposte a decisioni amministrative e giustificate con motivi di sicurezza. Israele non permette ai palestinesi di costruirvi scuole, ospedali o altre infrastrutture di uso pubblico, né strade o reti idriche o elettriche.
Alcuni precedenti. Nel 1999 Israele condusse l’evacuazione coatta di 700 palestinesi dalle loro case, puntualmente demolite insieme ai pozzi d’acqua.
Quei palestinesi restarono senza un tetto e senza lavoro. Poi il loro caso giunse in tribunale. L’Alta Corte israeliana chiese che le 20 famiglie che avevano esposto denuncia rientrassero nelle proprie case, ormai demolite. Nella decisione giuridizia però si includeva il divieto di ricostruirle.
Nel 2005 fu la volta di un altro round di sfollamenti per i palestinesi che abitavano in quest’area. Altre case e pozzi d’acqua furono demoliti per i ricorrenti motivi israeliani di ordine pubblico. Da lì a breve sorsero altre aree militari e nuovi avamposti coloniali illegali israeliani.