Gaza-Palestine Chronicle. Di Abdallah Aljamal. L’incessante bombardamento israeliano di Gaza assediata ha prodotto distruzione e perdite di vite umane senza precedenti nella storia della Striscia. Ha anche portato alla luce un tipo di umanità, coraggio e speranza che sfida la barbarie israeliana in maniera straordinaria.
Il corrispondente del Palestine Chronicle a Gaza centrale, Abdallah Aljamal, ci presenta alcune storie, quelle derivanti dalla macchina di morte israeliana, ma anche quelle di resilienza e umanità che permettono a Gaza di rimanere forte, di restare umana.
A corto di cibo.
“Tutti i distributori di generi alimentari hanno esaurito le scorte. La maggior parte dei negozi commerciali sono chiusi. Non riusciamo a trovare nulla in mezzo a questa terribile guerra, e non arriva cibo a Gaza. La situazione è catastrofica”, ha spiegato Majdi al-Dishat al Palestine Chronicle.
Al-Dishat, un piccolo imprenditore nel campo profughi di Nuseirat, ha dichiarato: “Ho chiuso il mio negozio circa due settimane fa per diversi motivi. Il primo è che l’edificio in cui si trovava il negozio è stato colpito da un razzo israeliano, causando ingenti danni.
“Ho chiuso il negozio a causa dei danni, ma anche perché la merce nel negozio è finita. Anche la merce che i clienti non erano interessati ad acquistare è andata”, ha continuato.
Hamza Dwaidar lavora nella zona commerciale di Nuseirat.
“Lavoro in un negozio di medie dimensioni e da circa due settimane tutta la merce è esaurita e non ce n’è da vendere”, ci ha detto, aggiungendo: “Non ci sono commercianti che ci riforniscano, e ci sono bombardamenti ovunque, quindi abbiamo chiuso i negozi fino alla fine della guerra”.
Non vogliamo cibo, vogliamo che la guerra finisca.
Commentando l’assenza di cibo, Yasmine Ahmed ha dichiarato: “Non vogliamo mangiare; vogliamo solo che la guerra finisca. Vogliamo vivere in sicurezza. La sicurezza è più importante del cibo. Fermate questa guerra”.
“Anche se le merci entrassero, non sarebbero sufficienti per i bisogni dei residenti di Gaza”, ha continuato, aggiungendo:
“Nessuna zona della Striscia è sicura. Molte persone sono state uccise mentre erano nei mercati. Israele sta colpendo tutto a Gaza. La sicurezza e il cibo sono importanti, ma prima vogliamo sicurezza e protezione e la fine della guerra”. |
Oltre al problema di non avere accesso al cibo, le forze israeliane hanno anche impedito la consegna di carburante e hanno chiuso tutti i valichi commerciali fin dal primo giorno dell’aggressione, il 7 ottobre.
Ciò ha portato alla chiusura dell’unica centrale elettrica, provocando una continua interruzione di corrente nella Striscia di Gaza negli ultimi 30 giorni. Inoltre, l’esercito israeliano ha colpito e distrutto i pannelli solari.
Gaza prende la sua elettricità da tre fonti: la prima attraverso la centrale elettrica, la seconda dalle linee elettriche che provengono da Israele e la terza è una piccola linea elettrica di 30 megawatt proveniente dall’Egitto.
Se tutte e tre queste fonti funzionassero a pieno regime, il programma elettrico avrebbe un sistema di 8 ore di accensione e 8 di pausa, un modello a cui i residenti di Gaza sono abituati da quando è stato imposto il blocco israeliano, nel 2006.
Il giornalista Ahmed Saleh ha sottolineato che lunedì 6 novembre le forze israeliane hanno colpito i pannelli solari che generavano una piccola parte di elettricità nel complesso ospedaliero di Al-Shifa, distruggendoli completamente e causando danni significativi al tetto del complesso.
“Sono stati colpiti i pannelli solari sull’edificio principale dell’ospedale Al-Shifa, così come le celle solari su una casa appartenente alla famiglia Saadi dietro il tribunale nel campo di Nusairat”, ha dichiarato Saleh.
“Si tratta di una nuova politica che gli israeliani hanno attuato negli ultimi giorni per rendere questa difficile situazione ancora più insopportabile”, ha concluso.
– Abdallah Aljamal è un giornalista residente a Gaza. È corrispondente per The Palestine Chronicle nella Striscia di Gaza.
(Foto: Gaza vacilla sotto i nuovi massacri compiuti dall’esercito israeliano. Via social media).
Traduzione per InfoPal di Edy Meroli