Mentre l’attenzione è rivolta su Gaza, la violenza dei coloni in Cisgiordania è aumentata

Cisgiordania – Anadolu agency. I parenti di Ahmed Dawabsheh, un bambino palestinese la cui madre, il padre ed il fratellino di 18 mesi furono bruciati a morte da coloni ebrei, nel 2015, descrivono l’escalation di violenza dei coloni ebrei nella Cisgiordania occupata come “vivere in un cerchio di fuoco”.

In un momento in cui tutti gli occhi sono puntati su Gaza, le violenze dell’esercito israeliano e dei coloni contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata sta aumentando.

Le Nazioni Unite hanno riferito che dal 7 ottobre, 820 palestinesi sono stati sfollati in Cisgiordania e gli attacchi dei coloni israeliani sono aumentati da una media di tre a sette al giorno. Nello stesso periodo, nell’area sono stati compiuti oltre 400 attacchi da parte dei coloni, con l’uccisione di decine di palestinesi.

I palestinesi sottolineano che la costante espansione delle colonie – tutte illegali secondo il diritto internazionale – è una delle maggiori minacce alla creazione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967 e sta frammentando il territorio della Cisgiordania che si suppone sia destinato a tale Stato. I coloni ebrei armati che vivono nell’area attaccano frequentemente i palestinesi e li costringono a lasciare le loro case.

Le organizzazioni israeliane e internazionali per i diritti umani accusano le forze israeliane di proteggere i coloni che compiono tali attacchi, di cui la tragedia che ha colpito la famiglia Dawabsheh è uno degli esempi più tragici.

La casa della famiglia palestinese nel villaggio di Duma, vicino alla città cisgiordana di Nablus, fu incendiata da coloni ebrei la mattina del 31 luglio 2015. Ali, di diciotto mesi, rimase ucciso nell’incendio. Suo padre, Saad Dawabsheh, 31 anni, sua madre, Riham Dawabsheh, 28 anni, e l’altro figlio, Ahmed, di quattro anni, furono gravemente feriti e portati in ospedale. I medici non riuscirono a salvare Saad e Riham, lasciando Ahmed come unico membro della famiglia sopravvissuto, che riportò ustioni sul 60% del corpo e ora vive con il nonno e lo zio a Duma.

Come altri palestinesi nella Cisgiordania occupata, Ahmed continua ad assistere alla crescente violenza dei coloni. A Duma, dove un gruppo di Anadolu è andato a visitare la casa della famiglia Dawabsheh per un’intervista, c’è una calma inquietante dopo i recenti attacchi dei coloni. Veicoli bruciati sono ben visibili all’ingresso del villaggio, dove non c’è gente per le strade e non c’è traffico.

Durante la visita, Ahmed, ora 13enne, stava giocando con suo cugino nella casa dello zio. Sembrava timido e riservato, ma aveva un atteggiamento allegro. Suo nonno, Hussein, che ha perso la figlia, il genero ed il nipote nell’attacco incendiario, ha spiegato che, dopo la tragedia del 2015, la violenza dei coloni ebrei fanatici contro il popolo palestinese è aumentata.

“Per esempio, per uscire in strada bisogna fare mille calcoli”, ha spiegato. “Devi fare attenzione a non essere attaccato dai coloni ebrei e hai paura. I coloni ebrei possono fermarti e ucciderti. In altre parole, la situazione è pessima”.

I nostri morti sono diventati martiri.

Alla domanda su come i palestinesi affrontino questo problema cronico, che paralizza la loro vita quotidiana, ha risposto: “Siamo musulmani e crediamo nel destino e nel fato. I nostri morti sono diventati martiri; sono saliti al Signore dei mondi, Allah. Ma dopo di loro, coloro che soffrono sono le loro famiglie, i loro fratelli e la loro patria. Tutti stanno attraversando questo dolore”.

Ha sottolineato che, sebbene siano i palestinesi ad essere vittimizzati, essi sono considerati terroristi. “Ci trattano come terroristi in qualsiasi momento. In qualsiasi situazione, Israele cancella i permessi di lavoro dei nostri figli che lavorano nelle aree israeliane. Ci soffocano da tutti i lati”.

Secondo Hussein Dawabsheh, il comportamento dei coloni dopo l’attacco incendiario non è stato diverso dall’atrocità commessa.

Per loro era come se non fosse successo nulla. Cantavano e ballavano. Nelle loro canzoni dicevano: ‘Ne abbiamo uccisi tre. Ora è il turno del quarto’. Li abbiamo visti ripetere sui social media: ‘È un errore che questo bambino viva. Abbiamo ucciso sua madre, suo padre e i suoi fratelli. Ora si vendicherà”. Immaginate di avere paura di un bambino di quattro anni. Hanno iniziato loro. Sono loro la fonte della violenza. Non siamo noi”.

Nasr Dawabsheh, zio di Ahmed, ha sottolineato che la violenza dei coloni non è iniziata con gli attacchi da Gaza, ma è aumentata di numero in questo periodo.

“Con l’attacco a Gaza, i coloni ebrei, insieme all’esercito israeliano e a questo governo israeliano fanatico, hanno ricevuto il permesso di organizzare attacchi per uccidere i palestinesi”, ha detto. Sottolineando che non possono uscire per strada, ha aggiunto: “Se uscite per strada, dovete salutare la vostra famiglia e i vostri figli perché potreste non tornare a casa”.

Ha fatto notare che è iniziata la stagione della raccolta delle olive, ma non appena è iniziato l’attacco a Gaza, quattro veicoli sono stati bruciati qui dai coloni ed un giovane palestinese è stato ferito. “Hanno persino impedito all’ambulanza di portare questo giovane all’ospedale e hanno cercato di colpire il villaggio. Questi attacchi continuano ogni giorno. È un’aggressione chiara e sistematica. Questi coloni ebrei hanno il permesso di sparare a qualsiasi palestinese, uomo, donna o bambino, e agli anziani”.

Nasr, zio di Ahmed, descrive la violenza dei coloni come terrorismo contro il popolo palestinese. “E non solo dal 7 ottobre, è da molto tempo che questo terrorismo va avanti in Cisgiordania. Negli ultimi tempi è aumentato ancora di più. Come ho detto, si tratta di un terrorismo sistematico e pianificato”.

Sono state inviate lettere di minaccia a molti villaggi e città. “Ci dicono: “O andate volontariamente ad est del fiume Giordano o sarete uccisi”.

Otto anni dopo la tragedia, per quanto il nonno e lo zio facciano per Ahmed, non possono sostituire i suoi genitori, ha spiegato Nasr.

“Indipendentemente dall’occasione, che sia una laurea, le vacanze o i compleanni, qualsiasi cosa gli offriamo mancherà sempre”. In Palestina i bambini sono ormai cresciuti. Ahmed ha attraversato un lungo processo di guarigione. A scuola, l’insegnante ha chiesto agli studenti di fare un disegno della loro famiglia e lui ha disegnato quattro persone. Nonostante sappia che la sua famiglia non è più viva, insiste ancora sul fatto che ci sono quattro persone. Immaginate come si possa convincere questo bambino che la sua famiglia non esiste più”.

Dio, ha aggiunto lo zio, ha tenuto in vita Ahmed per uno scopo “Perché sia un simbolo contro gli occupanti israeliani fino al Giorno del Giudizio”.

(Foto: Issam Rimawi/Anadolu Agency).

Traduzione per InfoPal di F.H.L.