Ricordando la Nakba.

Il 14 maggio 2010 è il giorno in cui ricordiamo il giorno della Nakba del 1948, data in cui venne dichiarata la nascita d'Israele. Ciononostante, non fu questo l'inizio della nostra Nakba (catastrofe), né la fine. Più di 200 villaggi vennero sottoposti a pulizia etnica nei sei mesi precedenti. Questo semplice fatto dimostra che non fu la fondazione dello stato militarizzato d'Israele a cominciare la Nakba, anche se ne rappresentò il culmine. Dopo quella data, l'ondata di pulizia etnica veniva condotta in nome di uno stato-nazione stabilito da e per gli ebrei d'Europa, e non solo per le milizie terroriste ebraiche nascoste in Palestina. La pulizia etnica che accompagnò la fondazione di questo stato-apartheid e il suo mantenimento comportò la distruzione di 530 tra villaggi e città. Una distruzione che continua ancor oggi: negli ultimi nove anni, oltre 10.000 case sono state abbattute in Cisgiordania (inclusa Gerusalemme occupata), a Gaza e nel Negev. 

Oggi, sette degli undici milioni di palestinesi nel mondo sono o profughi o rifugiati interni. La popolazione israeliana, secondo l'ufficio centrale di statistica israeliano, ammonta a 7.510.000 abitanti, di cui 5.984.500 sono “ebrei e altro” (presumibilmente “altro” sta a significare drusi, russi non ebrei e categorie simili) e 1.525.500 sono arabi palestinesi. La popolazione palestinese in Cisgiordania e Gaza raggiunge i quattro milioni, ai quali è permesso di vivere nelle aree A e B, ovvero piccole porzioni del 22% di Palestina occupata a partire dal 1967 [vale a dire la Cisgiordania, ndr] L'area totale concessa ai palestinesi ammonta quindi al 2,5% dell'area d'Israele prima del 1967 più le aree A e B dei Territori palestinesi, vale a dire il 2,5% del 78% più il 29% del 22% (l'ultima percentuale rappresenta la Cisgiordania più la Striscia di Gaza).

L'accesso geografico totale che rimane così a tutti i palestinesi fuori da Israele (5,5 milioni) è quindi uguale a 1.95%+6.38%=8.33%, mentre gli ebrei e le altre popolazioni, che sommate ammontano anch'esse a 5,5 milioni, hanno accesso al resto delle terre, ovvero al 91,67% della Palestina storica. Ciò vuol dire che la terra pro capite alla quale ha accesso la popolazione ebraica (formata principalmente da nuovi immigrati) supera di circa nove volte quella dei palestinesi nativi. Se a questo dato si aggiungono i rifugiati palestinesi all'estero, la disparità diventa ancor più pronunciata. Se inoltre si considera che, prima della fondazione dello stato d'Israele nel 1948, il 93% delle terre veniva sfruttato dai palestinesi nativi, che ora dispongono solo dell'8,3%, il colossale furto di terre diventa evidente.

Trattative infinite vengono portate avanti tra i sempre più fascisti governi israeliani e una vuota classe politica palestinese. Mentre le diverse fazioni si sono ora accordate per ricostituire l'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), indebolita e divisa da vent'anni, l'accordo resta ancora campato per aria. Non c'è da meravigliarsi se, negli ultimi due decenni di negoziazioni, Israele (appoggiata da una Washington occupata) ha dettato i termini del gioco, che includono la centralità della sicurezza dei colonizzatori (in altre parole, l'accettazione del furto di terre) e la  noncurante infrazione della legge internazionale. È chiaro che quest’ultima è a favore del diritto dei rifugiati e dei loro discendenti a ritornare nelle loro case e terre. Israele dovette accettare la Risoluzione 194 dell'Assemblea generale dell'Onu perché le fosse permesso di accedere all'organo internazionale. Ma la maggior parte dei provvedimenti chiave della risoluzione continuano a essere violati da questo stato canaglia:

I luoghi sacri – inclusa Nazareth – gli edifici e i siti religiosi in Palestina dovrebbero essere protetti, e il libero accesso ad essi andrebbe garantito secondo i diretti esistenti e le consuetidini storiche..

Ai rifugiati che desiderano tornare nelle loro case e vivere in pace con i loro vicini dovrebbe essere permesso di farlo il prima possibile, e a chi sceglie di non fare ritorno andrebbe pagato un risarcimento per la perdita o i danni arrecati alle loro proprietà, le quali, secondo i principi della legge internazionale, o secondo giustizia, andrebbero assegnate ai governi o alle autorità responsabili, qualora siano rimaste in Israele.

(Video: Palestine/Israel History since 1878, un piccolo documentario che mostra come Israele venne eretta sui corpi dei palestinesi con i massacri dei suoi primi giorni di vita. http://blip.tv/file/3467330

Nel corso di molte manifestazioni di resistenza popolare a cui si assiste oggi in Palestina, i palestinesi e i loro sostenitori hanno riconosciuto la continuità storica tra il furto di terre, il razzismo e la pulizia etnica del 1948 e i fatti d’attualità. Oggi a Sheikh Jarrah, centinaia di manifestanti – inclusi degli israeliani, tra cui dei rabbini sostenitori dei diritti umani – si sono radunati per protestare contro gli sfratti dei palestinesi nella Gerusalemme occupata. Le forze di occupazione hanno letteralmente trascinato via molti di loro, e arrestato altri (guarda il video su
http://www.youtube.com/watch?v=bwEubxCsnGc).

Il Comitato popolare ha riferito da Bil‘in che “rappresentanti dei movimenti di Fatah, Hamas e l’Fplp, insieme a membri del Comitato popolare contro il Muro, hanno marciato trasportando una chiave gigante per rappresentare il giusto ritorno dei rifugiati. Tra i partecipanti alla dimostrazione c’era anche Handala, il simbolo palestinese creato per rappresentare i bambini che lasciarono la loro terra e furono costretti a stabilirsi nei campi profughi. I manifestanti hanno proseguito fino al sito di costruzione del Muro e sopportato grandi quantità di gas lacrimogeno, mentre i soldati israeliani li costringevano alla ritirata. Un giornalista palestinese è stato arrestato non appena i soldati hanno attraversato la siepe. I campi intorno al Muro hanno preso subito fuoco, a causa del forte calore del pomeriggio e dei lacrimogeni, e i dimostranti cercavano di estinguere le fiamme con rami d’olivo (…) ”

Noi, che ci trovavamo in un altro villaggio (al-Ma’sara), ci siamo radunati e abbiamo ascoltato i discorsi del ministro della Cultura, la musica dell’artista palestinese Reem Al-Banna, le poesie di alcuni compositori e un po’ di dabka. Sullo sfondo, il disegno di tre tende, rappresentanti tre dei tanti villaggi distrutti nel 1948. In lontananza si riusciva a scorgere il Mediterraneo (ma era troppo distante dalla nostra posizione). Il Comitato popolare locale ha così organizzato un magnifico evento a sostegno del diritto al ritorno, nonostante l’esercito israeliano abbia invaso il villaggio la notte prima, minacciando tra gli altri gli organizzatori Mohammed e Hasan Breijiya. Abbiamo girato un video che include anche la settimana passata a al-Ma’sara e l’intervista con Daud Nassar, della Tent of Nations (http://www.tentofnations.org/). Il video è pubblicato a questo indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=9ezoe_k5FgY

Ciò che è successo qui negli ultimi 62 anni non è ciò che avevano progettato in origine i Sionisti, ovvero uno stato ebraico relativamente puro, con pochi o nessun nativo sul suo territorio. La verità è che oggi, nonostante tutte le immigrazioni sioniste e l’attività coloniale, noi restiamo qui. A voler essere precisi, è come un uovo strapazzato: le colonie ebraiche dominano, e nei ghetti, che formano l’8,3% di tutto il territorio, restano 5,5 milioni di palestinesi. Ma quest’uovo non si può ricomporre in una “soluzione a due stati”, e più saranno le persone che lo riconoscono, più saranno quelli che si uniscono a noi nello stesso tipo di lotta portato avanti per quasi 120 anni in Sudafrica. È una lotta per la giustizia e i diritti umani, sostenuta dalla legge internazionale. È una lotta contro il razzismo. È ormai tempo di far ritornare i rifugiati.

Mazin Qumsiyeh, PhD

Un beduino nel cyberspazio, un cittadino a casa sua

http://qumsiyeh.org

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