“Scegli la tua villa sul mare a Gaza”. Israele rilancia la sua geografia e il turismo coloniale

InfoPal. A cura di Lorenzo Poli. “Quando mia nonna arrivò qui (in Israele), dopo l’Olocausto, la Jewish Agency le promise una casa. Non aveva niente, tutta la sua famiglia era stata sterminata. È rimasta in attesa per lungo tempo in una tenda, in una situazione estremamente precaria. La portarono quindi ad Ajami, a Jaffa, in una stupenda casa sulla spiaggia. Vide che sul tavolo c’erano ancora i piatti degli arabi che ci abitavano e che erano stati cacciati via. Allora lei tornò all’agenzia e disse: riportatemi nella tenda, non farò mai a qualcun altro ciò che è stato fatto a me. Questa è la mia eredità, ma non tutti hanno fatto quella scelta. Come possiamo essere diventati ciò che avversavamo? Questa è la grande domanda”. Questo è ciò che ha dichiarato Hadar Morag, regista israeliana, in una intervista a il manifesto il 19 ottobre 2023.

L’ONU è da più di 70 anni che condanna Israele per gli insediamenti illegali nei Territori Palestinesi Occupati (TPO). In Cisgiordania da decenni, soprattutto dopo gli Accordi di Oslo del 1993, Israele sgombera i palestinesi e invita i coloni israeliani a trasferirsi nelle loro case. Lo stesso fecero con le pulizie etniche negli anni Quaranta e durante la Nakba nel 1948. Ma oggi nulla è cambiato.

Con l’inizio dell’Operazione Spade di Ferro, l’escalation militare israeliana su Gaza, Israele ha incrementato le sue politiche di apartheid e di genocidio verso il popolo palestinese con un progetto politico coloniale ben preciso: de-arabizzare la Palestina. A testimoniarlo è Piano Weitman, un documento pubblicato, più di una settimana dopo l’attacco a sorpresa di Hamas, da Amir Weitman dell’Istituto per la Sicurezza Nazionale e la Strategia Sionista, con il fine di delineare un piano neocoloniale “per il reinsediamento finale in Egitto dell’intera popolazione di Gaza”, basato sull’ “opportunità unica e rara di evacuare l’intera Striscia di Gaza” offerta dall’ultimo assalto di Israele all’enclave costiera assediata.

Il Piano Weitman, oltre a riecheggiare i piani di trasferimento forzato e di pulizia etnica, immagina che Israele acquisti le proprietà dei palestinesi gazawi al costo di 5-8 miliardi di dollari, un prezzo enorme che riflette solo l’1-1,5% del PIL israeliano.

Sostiene Weitman: “Investire singoli miliardi di dollari per risolvere questo difficile problema è una soluzione innovativa, economica e sostenibile”. È proprio su questa Nakba 2.0, ideata da questo think thank sionista, che propone una deportazione di massa della popolazione gazawi nel Sinai con il fine di colonizzare interamente Gaza. La mossa sarebbe, secondo Weitman, “un investimento molto utile” per i sionisti perché “aggiungerebbe molto valore nel tempo”. Ha affermato che le “condizioni del terreno” nell’area offrirebbero a “molti” coloni israeliani un elevato standard di vita, consentendo un’espansione degli insediamenti a Gush Dan, vicino al confine egiziano, dando “un enorme impulso agli insediamenti nel Negev”.

Questo offre ad Israele un modo per rilanciare la sua geografia coloniale, la concezione coloniale degli spazi urbani e i paesaggi e il “turismo coloniale” ad uso e consumo dei cittadini israeliani e dei futuri coloni israeliani. E così, mentre la guerra di Israele contro il popolo palestinese continua, nonostante le tregue e tutti gli sforzi in corso a livello internazionale, con il fine di distruggere Gaza e di estirpare Hamas, c’è addirittura chi va oltre. L’agenzia immobiliare israeliana Harey Zahav sta già mettendo in vendita le case che ora appartengono ai palestinesi gazawi. Lo fa in modo spudorato con un disegno di una mezza decina di villette tra le macerie di Gaza e sopra la scritta “Svegliatevi, una casa al mare non è un sogno!”, pubblicizzando sui social il progetto di nuove colonie nella Striscia. L’impresa Harey Zahav si definisce “leader nel mercato immobiliare in Giudea e Samaria”, costruisce e amplia insediamenti ebraici in Cisgiordania. Il governo pianifica nuove unità abitative e approva ex-post occupazioni di terre palestinesi trasformatesi in piccoli villaggi.

Per il diritto internazionale tutte le colonie oltre la linea dell’armistizio del 1967 sono illegali e ad affermarlo sono il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Corte Penale Internazionale dell’Aja a cui si aggiungono tutte le maggiori ong e illustri accademici.

All’inizio della guerra alcuni dipendenti della Harey Zahav, riservisti dell’esercito israeliano, sono stati reintegrati nelle forze armate e stanno combattendo a Gaza. L’estrema destra israeliana di Netanyau, che è un nemico giurato degli Accordi di Oslo, ritiene necessario ampliare il più velocemente possibile gli insediamenti esistenti e costruirne di nuovi. Questo non solo viola le leggi internazionali ma le stesse leggi israeliane. Secondo gli osservatori internazionali le colonie, sin dagli accordi di Oslo, sono il più grande ostacolo per un negoziato di pace perché rompono l’integrità territoriale palestinese. Gli scontri tra coloni, armati dal governo, e le comunità a cui viene sottratta la terra sono l’epicentro della violenza quotidiana da anni nei TPO.

Israele ha dunque l’obiettivo di costruire una nuova geografia coloniale a Gaza che va dagli insediamenti illegali israeliani dei Territori Palestinesi Occupati, dalle città palestinesi obbligate a svilupparsi ai campi profughi, dal disconoscimento dell’esistenza della Palestina nelle mappe digitali di Google, ai progetti di turismo coloniale a Gaza. Se anche su questo la comunità internazionale rimarrà indifferente, bisognerà valutare le responsabilità politiche anche di chi, potendo agire, non ha agito per fermare questa violazione totale e pervasiva del diritto internazionale.