Una nuova casa editrice al Salone del Libro: Israele.

Editoriale di Infopal.

Chi si reca al Salone del Libro di Torino, tra le centinaia di gazebo delle varie case editrici s’imbatte anche in quelli di enti e organismi che case editrici non sono: la Polizia di Stato, l’Esercito Italiano, Enti regionali di promozione turistica (ad es. la Sardegna), Istituti culturali (ad es. la Romania), organizzazioni religiose (Baha’i, Ahmadiyya, Società bibliche ecc.), associazioni professionali (notai ecc.). Tutti, comunque, si trovano lì per promuovere le loro edizioni: dai volumi sulle “missioni di pace” ai vari “libri sacri”, dalle riviste giuridiche ai testi che illustrano la cultura e le bellezze di alcune regioni d’Italia e del mondo. Vi sono anche gli stand dell’Istituto Poligrafico dello Stato e del Ministero dei Beni culturali, entrambi pertinenti nell’ambito di un evento fieristico dedicato all’editoria.

Tutti quelli che non sono case editrici in senso stretto, inoltre, presentano ai visitatori quel che giustifica la loro presenza in fiera: le loro pubblicazioni, che esprimono loro stessi, le loro iniziative ecc. Per di più, i sardi non presentano libri in cui parlano male dei siciliani, i romeni non espongono pubblicazioni antimagiare, la Polizia non fa lo sfottò ai Carabinieri eccetera.

C’è anche uno stand dedicato all’India: ed è normale, perché si tratta della nazione ospite d’onore dell’edizione 2010 del Salone. Anche nello stand dell’India si parla dell’India e si espongono opere pubblicate in India, ma non si distribuiscono testi antipakistani.

A tutto ciò c’è però un’eccezione. È sempre la solita: Israele.

Ebbene sì, ogni edizione del Salone del Libro, che ha già visto Israele ospite d’onore in mezzo ad un mare di polemiche (nessuna delle quali mai ben centrata, perché, si sa, esistono degli “amici della Palestina” – o “avversari d’Israele” – per così dire ufficiali), ogni edizione, dicevamo, prevede la presenza di uno “stand Israele”.

La prima domanda che uno si pone è: “Israele” è una casa editrice? Certo che no. Dunque dev’esserci un altro motivo per cui quello che si presenta come lo stand di uno Stato ha il diritto di avere un suo spazio fisso al Salone del Libro.

Forse che il gazebo, addobbato di tantissime bandierine con la stella di David, presenta una scelta di pubblicazioni del suo Ministero del turismo? No, neanche quelle.

Chi va a vedere cosa si trova nello stand, innanzitutto ha l’impressione di trovarsi di fronte ad una roba che somiglia allo stand di una squadra di calcio: attempate ma dinamiche signore che indossano una maglietta azzurra, modello “fan club”, si aggirano tra una discreta scelta di gadget, tra cui magliette, spille, cappelli, con impressi simboli, parole e slogan del Sionismo militante. 

Bene, allora, siccome non si tratta dello stand delle edizioni ufficiali di uno Stato, si comincia a capire che siamo finiti in quello degli aderenti, o meglio dei militanti di un’ideologia. Dunque, una palese eccezione, poiché nessun’altra ideologia ha un suo stand al Salone. Vi è uno stand di Lotta Comunista, quindi i suoi animatori sono comunisti (aderenti ad una delle innumerevoli interpretazioni del Comunismo), ma ciò è pertinente con la ragion d’essere della fiera, poiché Lotta Comunista ha la sua casa editrice. Però non esistono le “Edizioni sioniste”.  Dunque? Vediamo di capire meglio. 

Assieme a vari libri sulla cultura ebraica, sull’Olocausto ecc., in bella vista c’è un libro sull’Islam dal titolo fortemente allarmistico: “Islam. Istruzioni per l’uso”, il cui contenuto è decisamente ostile all’Islam e ai musulmani. Da una parte, poi, in uno scaffale in cui sono sistemate t-shirt con decalcomanie  inneggianti al Sionismo, vi è tutta una selezione di libri sull’Islam e i musulmani, dipinti secondo le teorie del cosiddetto “islamo-fascismo” e dell’ “Eurabia”, le quali – come si sa – sono create e diffuse dagli ambienti che soffiano sul fuoco dello “scontro di civiltà” mirato ad imbarcare noi italiani, mediterranei ed europei nell’impresa sionista: “Israele”, insomma, quale “avamposto di civiltà”, contro la “barbarie”, nella regione vicino-orientale araba e islamica.  

A questo punto, uno che si fosse dimenticato che siamo al Salone del Libro potrebbe obiettare che sì, Israele ha il diritto di presentare male l’Islam perché i suoi nemici nella regione sono soprattutto musulmani. Ma siamo, appunto, al Salone del Libro, per cui i gazebo di questo tipo se li potrebbero organizzare in strada, fermando i passanti, ed eventualmente prendendosi anche qualche insulto, impossibile da proferire dentro una Fiera presidiata dalla “sicurezza” (magari in mano a ditte “israeliane”…). 

Le attiviste dello stand non lesinano “consigli per gli acquisti”: “Quel libro su Khamas (con l’iniziale H di “Hamas” pronunciata con la tipica fricativa dell’ebraico…) è davvero ben fatto!” (cioè, lo presenta male).  

Continuiamo a non capire. C’è uno “stand Israele” che dunque non è emanazione delle edizioni di un suo Ministero del Turismo o dei Beni culturali, né trattasi del gazebo di una editrice religiosa ebraica, dedicata ai testi della tradizione sacra dell’Ebraismo. No, siamo un presenza di uno spazio che fa eccezione rispetto a tutti gli altri presenti in fiera, sia nei contenuti che nell’atteggiamento dei suoi animatori. 

A noi tutto questo sembra come minimo indecente. Che direbbero i soliti benpensanti se vi fosse uno stand di un qualche Stato arabo-musulmano che esponesse testi anti-israeliani o, peggio, antiebraici? O se addirittura vi fosse un gazebo in cui attivisti musulmani, con tanto di maglietta con scritto “Allah è grande”, si mettessero a consigliare i Protocolli dei Savi di Sion?

Perciò, due sono le lezioni da trarre dalla presenza di un siffatto “stand Israele”. Primo, il Sionismo in Italia ha completa carta bianca: i suoi esponenti possono scorazzare come vogliono, fare e disfare, e nessuno osa contraddirli. Possono infatti organizzare il loro banchetto propagandistico – lecito, per carità, in strada – dentro il Salone del Libro, senza che la dirigenza dell’Ente fieristico – né tutti i vari “illustri” consulenti – vi trovi nulla di strano.

Secondo, i sionisti sono i campioni del mimetismo: riescono a far passare la loro ideologia, a seconda della convenienza, per uno Stato, per una religione e… se questo serve alla loro causa (e forse a quella di chi se li tiene buoni per farsi bello), anche per casa editrice!

(Foto: una maglietta e altri gadget della propaganda israeliana alla Fiera del Libro del 2008)

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