Urinare sui prigionieri: perché l’umiliazione è funzionale alla guerra di Israele contro i palestinesi

MEMO. Di Ramzy Baroud. Quando le milizie sioniste, utilizzando armi occidentali avanzate, conquistarono la Palestina storica nel 1947-48, espressero la loro vittoria attraverso la deliberata umiliazione dei palestinesi.

Molte di queste umiliazioni riguardarono in particolare le donne, sapendo che il disonore delle donne palestinesi rappresenta, secondo la cultura araba, un senso di vergogna per l’intera comunità.

Questa strategia è in uso ancora oggi.

Quando decine di donne palestinesi sono state liberate in seguito allo scambio di prigionieri tra la Resistenza palestinese e Israele, a partire dal 24 novembre, è risultato molto difficile riuscire a nascondere i fatti.

A differenza della comunità palestinese di 75 anni fa, l’attuale generazione non interiorizza più l’umiliazione intenzionale di Israele nei confronti di donne e uomini, come se fosse un atto di disonore collettivo.

Questo ha permesso a molte donne prigioniere di parlare apertamente appena sono state rilasciate, spesso in diretta TV, riguardo al tipo di umiliazione a cui sono state esposte durante la detenzione militare israeliana.

L’esercito israeliano, tuttavia, continua ad agire con la stessa vecchia mentalità, percependo l’umiliazione dei palestinesi come espressione di dominio, potere e supremazia.

Nel corso degli anni, Israele ha perfezionato la politica dell’umiliazione, un concetto che si basa sul potere psicologico di svergognare intere collettività per enfatizzare la relazione asimmetrica tra due gruppi di persone: in questo caso, l’occupante e l’occupato.

È proprio per questo che, nei primi giorni della guerra israeliana contro Gaza, Israele ha arrestato tutti i lavoratori palestinesi della Striscia che si trovavano ad operare in Israele come manovalanza a basso costo, al momento dell’operazione del 7 ottobre.

La disumanizzazione che hanno subito per mano dei soldati israeliani ha dimostrato una tendenza crescente tra gli israeliani a degradare i palestinesi senza alcuna ragione.

Uno degli episodi peggiori tra quelli documentati è avvenuto il 12 ottobre, quando un gruppo di soldati e coloni israeliani ha aggredito tre attivisti palestinesi in Cisgiordania. I giornali israeliani Haaretz e Times of Israel hanno descritto come i tre siano stati aggrediti, denudati, legati, fotografati e torturati, per essere infine usati come orinatoi dai torturatori occupanti.

Queste immagini erano ancora fresche nella mente dei palestinesi quando sono emerse nuove immagini provenienti dal nord di Gaza.

Foto e video pubblicati dai media israeliani mostravano uomini spogliati fino a restare soltanto con la biancheria intima, disposti in gran numero nelle strade di Gaza, mentre erano circondati da soldati israeliani ben armati e minacciosi.

Gli uomini erano stati ammanettati, legati tra loro, costretti a chinarsi e poi, alla fine, gettati in camion militari per essere portati in una località sconosciuta.

Alcuni di loro sono stati rilasciati per raccontare storie dell’orrore, spesso con epiloghi sanguinosi.

Ma perché Israele si comporta così?

Nel corso della sua storia – nascita violenta ed esistenza altrettanto violenta – Israele ha volutamente umiliato i palestinesi come espressione del suo potere militare sproporzionatamente maggiore su una popolazione disgraziata, imprigionata e per lo più rifugiata.

Questa tattica è stata utilizzata soprattutto in quei periodi storici in cui i palestinesi si sentivano particolarmente forti, come un modo per spezzare il loro spirito collettivo.

La Prima Intifada, dal 1987 al 1993, era pervasa di questo tipo di umiliazioni. Bambini e uomini di età compresa tra i 15 e i 55 anni venivano abitualmente trascinati nei cortili delle scuole, denudati, costretti a inginocchiarsi per ore interminabili, picchiati e insultati dai soldati israeliani con gli altoparlanti.

Gli insulti riguardavano tutto ciò che i palestinesi hanno di più caro: la loro religione, il loro Dio, le loro madri, i loro luoghi sacri e altro ancora.

Poi, i ragazzi e gli uomini erano costretti a compiere determinati atti, ad esempio sputarsi in faccia, gridare alcune bestemmie, schiaffeggiare se stessi o gli altri. Chi si rifiutava veniva immediatamente sopraffatto, picchiato e arrestato.

Questi metodi continuano ad essere applicati tuttora nelle carceri israeliane, soprattutto durante gli scioperi della fame, ma anche durante gli interrogatori. In questi ultimi casi, agli uomini vengono fatte minacce di stuprare le loro mogli o sorelle; le donne vengono minacciate di violenza sessuale.

Questi episodi vengono spesso accolti da parte dei palestinesi come una sfida collettiva, che alimenta direttamente la resistenza popolare palestinese.

L’immagine del combattente palestinese, vestito in tenuta militare, che brandisce un fucile automatico, mentre cammina orgoglioso per le strade di Nablus, Jenin o Gaza, di per sé non ha un vero e proprio scopo militare. È invece una risposta diretta all’impatto psicologico del tipo di umiliazione inflitta alla società palestinese dall’esercito di occupazione israeliano.

Ma qual è la funzione di una parata militare palestinese? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo esaminare le fasi dell’evento.

Quando Israele arresta gli attivisti palestinesi, cerca di creare lo scenario perfetto di una comunità umiliata e sconfitta: il terrore provato dalla popolazione quando iniziano le incursioni notturne, il pestaggio della famiglia del detenuto, le grida di insulti insieme ad altre scene dell’orrore già ben pianificate.

Alcune ore dopo, i giovani palestinesi spuntano lungo le strade dei loro quartieri, sfilando con orgoglio con le loro armi, tra le urla di gioia delle donne e gli sguardi eccitati dei bambini. È proprio questo il modo in cui i palestinesi reagiscono all’umiliazione.

La resistenza armata palestinese si è molto rafforzata negli ultimi anni, e Gaza è attualmente un caso emblematico.

Dato che l’esercito israeliano non riesce a rioccupare Gaza e a sottomettere la sua popolazione, utilizzare la politica dell’umiliazione su larga scala è semplicemente impossibile.

Al contrario, sono gli israeliani a sentirsi umiliati, e non solo per quello che è successo il 7 ottobre, ma per tutto quello che è accaduto da allora in poi.

Non potendo operare liberamente nel cuore di Gaza, a Khan Yunis, a Rafah o in qualsiasi altro centro abitato della Striscia, l’esercito israeliano è costretto a umiliare i palestinesi in ogni piccolo angolo che riesce a controllare, come ad esempio Beit Lahia.

Frustrati dall’incapacità dell’esercito di mantenere le promesse di sottomettere i gazawi, gli israeliani comuni si sono riversati sui social media per deridere i palestinesi a modo loro.

Le donne israeliane, spesso insieme ai loro figli, si sono vestite in modo da trasmettere una rappresentazione razzista delle donne arabe che piangono sui corpi dei loro figli morti.

Questo tipo di derisione sui social media sembra aver fatto leva sull’immaginazione della società israeliana, che insiste sul proprio senso di superiorità anche in un momento in cui sta invece pagando il prezzo della propria violenza e arroganza politica.

Questa volta, però, la politica israeliana dell’umiliazione si sta rivelando inefficace, perché il rapporto tra palestinesi e israeliani sta per essere radicalmente modificato.

Si è umiliati solo se si interiorizza l’umiliazione come un senso di vergogna e di impotenza. Ma i palestinesi, questa volta, non provano questi sentimenti. Al contrario, la loro continua sumud e la loro unità hanno generato un senso di orgoglio collettivo senza precedenti nella storia.

(Foto: [Mostafa Alkharouf/Anadolu Agency]).

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi