Vite occupate: “Niente giustizia per la morte di mio figlio”

Vite occupate: “Niente giustizia per la morte di mio figlio”

 

Gaza – Pchr. Narrative sotto occupazione.

Martedì 16 agosto 2011, Saad al-Majdalawi, un ragazzo di 17 anni con un ritardo mentale, è morto dopo essere stato preso di mira e colpito dal fuoco delle forze israeliane posizionate al confine tra Nusseirat, nella zone centrale della Striscia di Gaza, e Israele. Saad era disarmato e non rappresentava una minaccia per i soldati isrealiani quando gli hanno sparato uccidendolo.

Abdul Rahim al-Majdalawi ha visto per l’ultima volta il figlio sabato 12 agosto: “Saad ha lasciato la casa intorno alle 20. Quella notte non ha fatto ritorno e abbiamo concluso che fosse andato da un amico o da un parente. Il giorno successivo non è ritornato così abbiamo iniziato a cercarlo. Martedì sera alcuni parenti avevano ricevuto la notizia che un membro della famiglia al-Majdalawi era stato ucciso al confine e che il corpo si trovava nell’ospedale di al-Aqsa. Nessuno mi ha detto nulla fino a mezzanotte, così sono andato all’ospedale e ho ricevuto la notizia da perenti e vicini”.

Abdul Rahim si è recato all’obitorio, temendo che la vittima fosse il figlio: “Saad solitamente si allontanava da casa anche per un giorno intero quando andava a far visita a parenti o amici. Prima di allora non era mai sparito per tre giorni di fila. Perciò mi sono recato all’ospedale per scoprire quale membro della famiglia al-Majdalawi fosse stato ucciso. Ho visto il corpo e mi sono reso conto che era mio figlio Saad. Aveva un foro di proiettile nella testa e il naso era stato strappato dai colpi. Aveva molte altre ferrite sul petto, sulle spalle, sulle gambe e sul gomito sinistro”.

Abdul Rahim non ritiene che Saad costituisse una minaccia per la forze israeliane: “Non so quanto si fosse spinto oltre il confine quando è stato ucciso, ma Saad non ha mai causato problemi a nessuno. Non ha mai ferito nessuno in casa o nel vicinato, e ora è morto. Non mi è ancora chiaro cosa sia successo quella notte. Non posso nemmeno dire il numero dei proiettili che aveva in corpo. Era solo quando è stato ucciso”.

La morte di Saad è stata particolarmente difficile per il padre, erano molto uniti: “Saad frequentava le superiori, ma si era ritirato a causa della sua condizione mentale. Aveva anche un disturbo del linguaggio e a scuola era stato punito per questo. Nonostante ciò era molto socievole e amava interagire con le persone, anche se molte volte veniva deriso e picchiato quando parlava. Questo lo rendeva piuttosto depresso e contribuiva a peggiorare i suoi problemi psicologici. Avevamo iniziato a cercare una cura per la sua condizione un mese prima che venisse ucciso. Desideravo una cura migliore per lui. Capivo la sua sofferenza e per questo gli stavo vicino. Ora se n’è andato”.

La possibilità di una denuncia evoca forti emozioni in Abdul Rahim: “Quello che è successo a mio figlio mi rende ancora triste. Lui se n’è andato e niente può cambiare questo fatto. È molto difficile per me parlarne. Era molto rispettoso e ci faceva sempre ridere. Questa casa è vuota senza di lui. I suoi fratelli sentono molto la sua mancanza e sono ancora molto scossi dalla sua morte. Volevo il meglio per lui. Non credo che una denuncia o una causa conteranno qualcosa. Non voglio un risarcimento e nessuno può presentarmi scuse sul motivo della sua uccisione. Non ho fiducia in alcuna procedura legale, poiché nessuno può accusare Israele e nessuno lo può perseguire anche quando è nel torto. È una sfortuna, ma non ne verrà fuori niente”.

Il 21 settembre 2011, il PCHR ha presentato una denuncia civile al ministero della Difesa, che fino ad ora non ha portato a un risultato positivo. Inoltre, il 25 settembre 2011, il PCHR ha presentato una denuncia criminale alla Corte militare dell’esercito israeliano, che è stata respinta il 7 maggio 2012. Per conto della famiglia al-Majdalawi, il PCHR ha anche presentato una denuncia individuale all’Inviato Speciale (Special Rapporteur) sulle esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie, il 10 settembre 2012.

Mirare e sparare ad un bambino, un civile protetto, è un crimine di Guerra, come definito dagli art. 8(2)(a)(i) e 8(2)(b)(i) dello Statuto di Roma della Corte Criminale Internazionale.

Traduzione per InfoPal a cura di Cinzia Trivini Bellini