Delegazione del Bahrain a Roma: la nostra lotta è pacifica e per la democrazia

Roma – InfoPal. Indubbiamente la loro Primavera Araba è poco seguita dai media italiani, a differenza di altre. Della rivolta in Bahrain contro un regime totalitario e sanguinario si sa ben poco, così come delle richieste popolari, delle discriminazioni di una minoranza al potere contro la maggioranza, del desiderio di libertà e democrazia e di una vita dignitosa.

Un’occasione per giornalisti e politici di capire meglio le dinamiche in corso in Bahrain è stata offerta dalla presenza, a Roma, di una delegazione di parlamentari del maggiore partito di opposizione, al Wifaq.

Dal 24 al 26 settembre l’associazione Assadakah ha ospitato due deputati, membri di al-Wifaqche è parte di una coalizione di sette movimenti sciiti: Jasim Husain e Hadi al Mosawi. Il 25 settembre, i due parlamentari hanno incontrato la Commissione Diritti umani del Senato.

 

Il Bahrain (in arabo, “i due mari”) è un piccolo Stato, un’isola nel Golfo Persico, retto da una monarchia. I suoi confini marittimi sono con Iran, Qatar e Arabia Saudita.

La popolazione è a maggioranza sciita (70% ), ma è dominata e discriminata dalla Casa Reale, sunnita, imparentata con la monarchia saudita. Dal febbraio, i cittadini sono in rivolta: è la Rivoluzione della Perla (dal nome di una piazza della capitale, Manama), attraverso la quale essi chiedono democrazia, riforme costituzionali, diritti, uguaglianza sociale, politica, economica e la fine delle discriminazioni – in Parlamento, gli sciiti non hanno mai avuto la maggioranza. Il 95% dei disoccupati è sciita. Agli sciiti è negato il diritto all’occupazione in molti settori. 

Il regime, con il sostegno delle truppe inviate da Riyadh, continua a rispondere con una feroce repressione, che ha provocato finora decine di morti, feriti e numerosi arresti. Anche le moschee, sciite, sono diventate un bersaglio delle aggressioni governative. Centinaia di attivisti hanno subito torture e diversi medici e infermieri che hanno prestato soccorso ai feriti sono stati licenziati.

 

Abbiamo incontrato la delegazione alla Stampa Estera, e le abbiamo rivolto alcune domande.

Angela Lano: On. Husain e al-Mosawi, quali sono le richieste che il vostro movimento e la piazza del Bahrain fanno al regime?

Al-Mosawi: “La nostra è una domanda di democratizzazione interna, di partecipazione alla gestione del Paese e della politica. Non stiamo chiedendo la fine della monarchia degli al-Khalifa, ma un sistema parlamentare vero e un governo che sia rappresentativo del popolo e dei partiti, e la fine della presenza saudita, a livello politico e militare. Vogliamo che le discriminazioni religiose, sociali e professionali finiscano. Vogliamo media liberi e una società attiva. E la liberazione dei prigionieri politici

“La rivolta è iniziata il 15 febbraio, chiedendo riforme. Noi abbiamo sempre organizzato manifestazioni pacifiche, non-violente, in stile gandhiano, ma il regime ha risposto subito reprimendo, uccidendo”.

Husain: “Siamo convinti che il Bahrain sia pronto per la democrazia. Il Paese ha un alto livello di scolarizzazione. Ci sono tante persone colte, preparate, anche se molti intellettuali sono in esilio. La democrazia arriverà, ne siamo sicuri.

“Il regime attacca i manifestanti, pacifici, distrugge le moschee: ne abbiamo perse 35. Dove s’è mai visto un governo musulmano che abbatte le moschee? Le autorità non vogliono che la nostra rivoluzione popolare continui in modo pacifico, vogliono la violenza, così da poterci reprimere più duramente, ma noi siamo non-violenti. Possono testimoniarlo le tante delegazioni parlamentari e diplomatiche che arrivano in visita in Bahrain”.

A.L. Qual è la situazione dei diritti umani nel vostro Paese?

H. “Il regime si sta vendicando della rivoluzione in corso. Un’ondata di licenziamenti ha colpito i manifestanti, sia nel settore privato sia in quello pubblico: 4400 tra bancari, insegnanti, impiegati, medici, operai, poliziotti, ecc., sono stati mandati a casa per aver partecipato alle rivolte. Licenziare come rappresaglia non è etico. Le autorità non capiscono che ciò non è più concepibile nel mondo contemporaneo. Sono rimaste indietro, sono arretrate, mentre la gente non lo è affatto, è colta e non sopporta più un sistema dove un capo di governo è al potere da 40 anni e dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno“.

M. “Il 23 novembre del 2011, il B.I.C.I.org, Commissione indipendente d’inchiesta del Bahrain, che monitora la situazione dei diritti umani, ha stilato un rapporto di centinaia di pagine, evidenziando una politica settaria e discriminatoria e un uso eccessivo della forza da parte del regime nei confronti dei manifestanti.

“La situazione sta peggiorando: all’inizio, le proteste di piazza avevano motivazioni politiche. Ora sono contro le violazioni dei diritti umani. E poi?”

A.L. In Occidente, certi media hanno scritto che la rivolta in Bahrain è incoraggiata dall’Iran. Cosa rispondete?

H. e M. “Nel rapporto del B.I.C.I. non emerge questo. L’Iran non era dietro allo scoppio della rivolta popolare. Noi portiamo avanti la nostra lotta per il cambiamento interno, senza ingerenze esterne: vogliamo democrazia, diritti e il rispetto di principi universali, giustizia per tutti.

A.L. Qual è il ruolo degli Stati Uniti in Bahrain? 

H. e M. “Com’è noto, nelle nostre acque è ormeggiata la V Flotta degli Stati Uniti. Per questa ragione essi hanno bisogno che la regione sia stabile. Indubbiamente sono molto interessati alla situazione in corso nel Paese. Riteniamo che a loro faccia comodo una soluzione che non sia violenta e traumatica, bensì pacifica.

(Foto di Angela Lano: Jasim Husain e Hadi al Mosawi, in una sala alla Stampa Estera, Roma).