Dietro le sbarre del nemico: prigionieri palestinesi e israeliani

The Cradle. Di Robert Inlakesh. L’equo trattamento dei prigionieri israeliani da parte di Hamas è diventato parte della guerra di informazione tra i palestinesi e Tel Aviv. Mentre non si dice che ci sono ancora migliaia di palestinesi detenuti che sopravvivono a malapena nelle carceri israeliane.

La questione dei Prigionieri di Guerra (POW Prisoners of War) fatti prigionieri dalle forze della resistenza palestinesi guidate da Hamas è diventata una delle giustificazioni principali per l’assalto militare di Israele contro la Striscia di Gaza. 

Mentre al pubblico occidentale viene spesso presentata l’immagine di questi gruppi come terroristi assetati di sangue, uno sguardo più attento rivela che Hamas e altre fazioni potrebbero aver trattato i prigionieri israeliani in modo più umano di come Israele tratta i prigionieri politici palestinesi. 

Mentre la questione dei prigionieri di guerra israeliani dura da otto settimane, la situazione dei prigionieri palestinesi persiste almeno dal 1967. Si dice che siano circa 137 gli israeliani attualmente prigionieri a Gaza, che Hamas sostiene essere tutti maschi e/o militari. 

Nella tregua di sette giorni decisa a novembre tra Hamas e Israele, la resistenza palestinese ha rilasciato 108 donne e bambini tenuti prigionieri a Gaza. In cambio, Israele avrebbe dovuto rilasciare 300 donne e bambini palestinesi detenuti e permettere l’ingresso di aiuti essenziali a Gaza attraverso il valico di Rafah, al confine con l’Egitto.

Stanley Cohen, un avvocato statunitense che ha rappresentato sia membri di Hamas che di Hezbollah, dichiara a The Cradle che “le leggi di guerra non limitano i prigionieri di guerra ai soggetti statali”. Afferma che “si applicano tutte le leggi di guerra, sia che si tratti di soggetti statali che di soggetti non statali”. 

Questo significherebbe che gli stessi obblighi legali sul trattamento dei prigionieri di guerra dovrebbero essere applicati sia a Hamas che a Israele, nonostante ci sia una maggiore aspettativa morale spesso posta sugli Stati membri delle Nazioni Unite.

In che modo Hamas tratta i prigionieri di guerra israeliani.

L’accesso alle interviste con i detenuti è limitato a causa delle restrizioni imposte dal governo israeliano all’interazione dei media con i prigionieri recentemente liberati, soprattutto dopo l’imbarazzante gaffe di fine ottobre, quando uno dei quattro israeliani rilasciati senza condizioni prima della tregua – l’ottantacinquenne Yocheved Lifshitz – ha dichiarato in una conferenza stampa che “ci hanno trattato molto bene” a Gaza, ma che hanno sopportato “l’inferno” durante la prigionia.  

Ma nonostante le difficoltà nell’ottenere pubblicamente le loro storie complete, alcune cose sono emerse. Recenti registrazioni audio, citate anche dai media israeliani, hanno rivelato dichiarazioni di prigionieri rilasciati che affermano di aver avuto più paura delle azioni israeliane che di quelle di Hamas. Un ex detenuto, criticando il governo israeliano, ha sottolineato la mancanza di sostegno e le sfide che ha dovuto affrontate durante la prigionia:

“Eravamo seduti nei tunnel e temevamo terribilmente non che Hamas ma Israele ci uccidesse, e che poi avrebbero dichiarato ‘Hamas vi ha ucciso’”.

Un altro ex prigioniero israeliano si è spinto oltre, esprimendo sdegno per le risposte del governo israeliano durante e dopo gli eventi del 7 ottobre:

“La sensazione che avevamo lì era che nessuno stesse facendo nulla per noi. Il fatto è che mi trovavo in un nascondiglio che è stato bombardato, abbiamo dovuto uscire di nascosto e siamo stati feriti. Senza considerare l’elicottero che ci ha sparato addosso mentre andavamo a Gaza. Voi affermate che ci sono informazioni di intelligence, ma il fatto è che siamo stati bombardati. Mio marito è stato separato da noi tre giorni prima del nostro ritorno in Israele e portato nei tunnel. E voi parlate di allagare i tunnel con l’acqua del mare? State bombardando il percorso dei tunnel nell’area esatta in cui si trovano”.

Le relazioni sanitarie dei detenuti suggeriscono che c’è stata una graduale diminuzione della quantità di cibo all’interno di Gaza, e si afferma che i prigionieri hanno perso tra il 10 e il 15 percento della loro massa corporea. La dottoressa Yael Mozer-Glassberg, pediatra israeliana, ha descritto l’esperienza dei bambini come “terrore psicologico”, anche se il suo resoconto dovrebbe essere considerato con un po’ di sano scetticismo.

I racconti di Mozer-Glassberg sono la cosa più simile ad una spiegazione dettagliata di come sono stati trattati i prigionieri israeliani rilasciati. Secondo un rapporto pubblicato da Haaretz, la dottoressa ha ripetuto la seguente storia di due bambini, affermando che “il più grande non mangiava finché il più piccolo non aveva finito di mangiare e si sentiva sazio”, aggiungendo che “questo è il tipo di storie che ho sentito da mio nonno, che era un sopravvissuto dell’Olocausto”.

Leggendo il linguaggio che utilizza per descrivere le condizioni degli ex prigionieri, è evidente che il suo racconto è improntato all’esagerazione e che il medico non è una fonte neutrale. 

Affermazioni contrastanti.

Dall’altro lato ci sono i video pubblicati da Hamas che mostrano il rilascio di detenuti per lo più israeliani alla Croce Rossa Internazionale. I filmati sono caratterizzati da saluti, sorrisi, cenni con la mano, abbracci e persino espressioni di gratitudine in arabo verso i loro rapitori – immagini che il governo israeliano respinge fermamente, definendoli propaganda. 

Il portavoce del governo Eylon Levy ha dichiarato che Hamas “pubblica filmati di masse di gente che terrorizzano gli ostaggi nei loro ultimi momenti di prigionia”, affermando che i video mostrano come il gruppo “continui a documentare le proprie atrocità”. La rappresentazione di Levy è a dir poco esagerata.

Il ministero della Sanità di Tel Aviv è arrivato persino a suggerire che ai prigionieri di guerra siano state somministrate “droghe” per farli apparire felici. Eppure, contrariamente alle rappresentazioni del terrore di Mozer-Glassberg, questi video forniscono una visione più diretta delle esperienze degli israeliani liberati.

Emily Hand, una bambina israeliana di 9 anni detenuta da Hamas, è stata restituita al padre durante il recente scambio di prigionieri. Suo padre Thomas, ostentato dai media occidentali dopo essere stato erroneamente informato che sua figlia era stata uccisa il 7 ottobre, ha dichiarato che “lei [Emily] ha perso molto peso, dal viso e dal corpo, ma in generale sta meglio di quanto ci aspettassimo”.

Il negoziatore thailandese, dottor Lerpong Sayed, ha affermato che coloro che ha aiutato a far liberare sono stati ben assistiti, ricevendo riparo, vestiti, cibo e acqua, con un supporto mentale fornito in egual misura ai detenuti thailandesi e israeliani – che, a suo dire, sono stati tenuti insieme. Ci sono state anche segnalazioni di amicizie nate all’interno dei tunnel di detenzione dei gruppi di resistenza palestinesi, una tra una donna israeliana e un lavoratore thailandese. Le affermazioni di ferite intenzionali durante il trasferimento e una lettera di ringraziamento della famiglia di un prigioniero rilasciato rimangono contestate e non verificate.

Hamas sostiene che i bombardamenti aerei dell’occupazione hanno ucciso circa 60 israeliani che tenevano prigionieri, comprese le loro guardie palestinesi, con 23 dei corpi ancora intrappolati sotto le macerie. L’esercito israeliano, incolpando Hamas, ha scoperto due di questi cadaveri. 

Tra i vari resoconti delle famiglie e dei medici, sembra che le condizioni nelle strutture in cui erano detenuti gli israeliani fossero cattive, forse aggravate dall’interruzione di tutti i servizi essenziali da parte di Israele all’inizio della guerra.

La mancanza di igiene, acqua, cibo, medicine ed elettricità sono tutte realtà per i 2,3 milioni di civili palestinesi che vivono a Gaza in questo momento. Se non altro, le condizioni che i prigionieri israeliani hanno dovuto affrontare sono state coerenti, se non migliori, di quelle dei civili di Gaza.

Come Israele maltratta i prigionieri palestinesi.

A differenza dei detenuti israeliani, i prigionieri politici palestinesi liberati hanno parlato direttamente con i media internazionali e hanno fornito racconti terribili di abusi fisici, tra cui torture, percosse e persino stupri. Secondo alcune donne e bambini palestinesi liberati negli ultimi scambi, questi sono stati minacciati dagli israeliani che hanno intimato loro di non parlare del trattamento avuto durante la detenzione.

“Non esistono leggi. Tutto è lecito”, ha dichiarato ai media Lama Khater, una prigioniera palestinese rilasciata. “Sono stata condotta agli interrogatori ammanettata e bendata, mi hanno minacciata di darmi fuoco, sono stata esplicitamente minacciata di stupro e di deportazione nella Striscia di Gaza”, ha aggiunto. 

La giornalista palestinese Baraah Abu Ramouz, anch’essa liberata dalla detenzione israeliana, ha fornito la seguente testimonianza di ciò che ha visto:

“La situazione nelle prigioni è devastante. I prigionieri vengono maltrattati. Vengono costantemente picchiati. Vengono aggrediti sessualmente. Vengono violentati. Non sto esagerando. I prigionieri vengono violentati”.

Mohammed Nazal ha subito la rottura delle dita, la contusione della schiena e la frattura delle mani da parte delle guardie carcerarie israeliane. “Una settimana fa siamo stati picchiati selvaggiamente con barre di metallo. Ho messo le mani sulla testa per proteggermi dai colpi, ma i soldati non si sono fermati finché non mi hanno rotto le mani”, ha raccontato il 18enne prigioniero rilasciato. Nonostante le evidenti ferite e la terribile testimonianza rilasciata ai media, in cui ha raccontato di essere stato lasciato per terra in preda al dolore e che gli sono state negate le cure mediche, le autorità israeliane hanno cercato di sostenere che fosse un bugiardo pubblicando un video in cui hanno affermato che fosse rimasto incolume. Le sue testimonianze e i referti medici sono stati successivamente verificati, rivelando che era Israele a mentire e non Mohammed.

Ahed Tamimi, icona e attivista palestinese che era detenuta senza accuse, è apparsa scossa e debole dopo il suo rilascio, dichiarando:  

“Le circostanze nella prigione sono molto difficili, con abusi quotidiani contro le detenute. Vengono lasciate senza acqua e senza vestiti, dormono sul pavimento e vengono picchiate… Le autorità israeliane mi hanno minacciata di colpire mio padre se avessi parlato di ciò che accade in prigione”.

Le loro testimonianze evidenziano continuamente che le condizioni all’interno delle carceri israeliane sono ulteriormente peggiorate dopo il 7 ottobre. I detenuti rilasciati hanno parlato di abusi fisici e psicologici e della privazione di beni essenziali come cibo, acqua, cure mediche e una sistemazione adeguata per dormire.

L’associazione palestinese per il sostegno ai prigionieri e i diritti umani Adameer riferisce che oltre 7.600 prigionieri politici sono detenuti nelle carceri militari israeliane, e oltre 3.000 di questi civili sono stati catturati dal 7 ottobre – superando di gran lunga il numero totale di israeliani detenuti a Gaza.

La lotta palestinese sottovalutata.

Le affermazioni di Tel Aviv secondo cui questi palestinesi sono tutti “terroristi condannati” sono una farsa. Il sistema dei tribunali militari israeliani mantiene una percentuale di condanne per i palestinesi vicina al 100%, mentre altre migliaia di persone sono detenute in quella che viene chiamata “detenzione amministrativa” – individui detenuti senza alcuna accusa. Una testimonianza che ho registrato l’anno scorso è stata resa da Abdul-Khaliq Burnat, oggi 22enne, che ha raccontato una storia straziante di quando era rinchiuso nel centro di detenzione israeliano di al-Moskobiyya, notoriamente brutale:

“Mi urlavano contro, mi tiravano pugni, mi schiaffeggiavano e usavano attrezzi. Mi hanno bloccato con una fascetta di plastica che mi ha tagliato i polsi, mentre sono ero legato a una sedia in posizione di stress per 20 ore al giorno… per tre giorni mi hanno tenuto in una cella puzzolente e piccolissima; faceva così freddo lì dentro e non c’era luce, sono stato spogliato di tutti i miei vestiti per tutto il tempo e legato nudo, non mi hanno dato cibo e non ho potuto nemmeno usare il bagno”.

Durante la sua detenzione nel maggio del 2021, Abdul-Khaliq racconta di essere stato informato quotidianamente, dagli israeliani che effettuavano gli interrogatori, sul numero di donne e bambini uccisi a Gaza in quel periodo. I suoi rapitori portarono poi suo fratello Mohammed, allora 17enne, nello stesso centro di detenzione e lo picchiarono così duramente che fu ricoverato in ospedale in tre diverse occasioni. 

Mohammed Burnat langue ancora nelle carceri israeliane, dove è detenuto senza alcuna accusa dal giorno del suo arresto, avvenuto nel 2021. Abdul-Khaliq, che è stato tenuto prigioniero per 13 mesi all’età di 17 anni, è stato nuovamente catturato dalle forze israeliane in seguito all’operazione del 7 ottobre ed è attualmente in detenzione amministrativa. 

Se si considera che la condizione dei prigionieri politici palestinesi rappresenta una delle questioni più importanti della società palestinese contemporanea, si può iniziare a comprendere la logica e il pensiero strategico dietro l’operazione della resistenza, Al-Aqsa Flood, per catturare i prigionieri di guerra israeliani. 

Secondo le Nazioni Unite, dal 1967 Israele ha detenuto oltre 1 milione di palestinesi, tra cui decine di migliaia di bambini. 

Casi di tortura, abusi sessuali e traumi psicologici sono stati ben documentati nel corso dei decenni di occupazione della Palestina da parte di Israele e di detenzione del suo popolo, eppure tutto ciò non ha ricevuto una frazione dell’attenzione mediatica riservata agli israeliani imprigionati soltanto due mesi fa.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi