Genocidio in Palestina: i giornalisti devono decolonizzare la narrazione

Genocidio in Palestina: i giornalisti devono decolonizzare la narrazione

MEMO. Di Mahmoud Ibrahim. Questo è un messaggio ai giornalisti dei media tradizionali, ai giornalisti con una coscienza. È un qualcosa che ho sempre desiderato scrivere.

Il mondo sta assistendo  a un’altra fase della pulizia etnica e del massacro di massa dei palestinesi da parte di Israele nella guerra in corso a Gaza, che i media internazionali chiamano ingannevolmente “conflitto”. Al momento in cui scriviamo sono stati uccisi almeno 6.546 palestinesi (non sono semplicemente “morti”), il 70% dei quali erano bambini (2.704), donne (1.584) e anziani (295). Più di 17.400 persone sono state ferite; più di 1.600 persone sono andate disperse, presumibilmente sotto le macerie degli edifici distrutti; e il 70% della popolazione della Striscia di Gaza è stata sfollata. (Dati di alcuni giorni fa, ndr). 

Noi come giornalisti abbiamo il dovere professionale di resistere alla narrazione subdola che equipara gli oppressori colonialisti ai popoli oppressi e colonizzati. Questo può essere fatto in vari modi e luoghi: sul campo, in redazione, in onda, nelle riunioni di redazione, via e-mail, nella terminologia e nella scelta delle parole, delle immagini e dei filmati utilizzati; nelle nostre fonti; spiegando il contesto, la storia dell’occupazione e la sofferenza delle famiglie sotto il regime di apartheid di Israele.

Potreste averci provato con tutte le vostre forze a cambiare la narrazione tradizionale e aver fallito e non poter affatto cambiarla; se siete costretti a tacere; se siete stati costretti a diventare complici della distorsione della verità; o se siete stati emarginati e siete diventati solo un numero, un giornalista senza alcun contributo a una narrazione accurata. Se siete vittime di una di queste situazioni, allora dovete riflettere seriamente sulle vostre scelte professionali e sul vostro datore di lavoro, in modo da non diventare un proiettile nella mitragliatrice dei media tradizionale  che possono fabbricare e fabbricano il consenso del pubblico per sostenere i massacri.

    “Il silenzio è complicità, non neutralità”.

Siete giornalisti con la missione di comunicare la verità e di difendere la giustizia; non siete uno strumento della macchina propagandistica dell’esercito di occupazione. 

Tuttavia, sei quello strumento con il tuo vergognoso silenzio – il silenzio è complicità, non neutralità – quando c’è più bisogno che tu faccia sentire la tua voce. 

Non ho mai provato alcun rimpianto ad aver lasciato la BBC dopo la  copertura giornalistica che fece  della guerra di Israele contro Gaza del 2014, quando 551 bambini e 299 donne furono uccisi e, secondo l’UNRWA, la portata delle perdite umane, della devastazione e dello sfollamento fu catastrofica e senza precedenti dal 1967. 

Le persone hanno dimenticato quel massacro come ne hanno dimenticati tanti altri, ma i palestinesi vivendone le conseguenze non lo potranno mai dimenticare.

Adesso, la cosiddetta “comunità internazionale” sta dando il via libera a un altro progetto neocoloniale accompagnato da crimini di guerra in Palestina. La disumanizzazione dei palestinesi nei media e nella retorica politica non  solo ha un impatto sulle loro vite, ma si interseca anche con il discorso islamofobico e neo-orientalista su arabi e musulmani in tutto il mondo, che li demonizza e porta a un’impennata dei crimini d’odio.

Affinché i giornalisti possano fare un cambiamento, è necessario che tutti noi decolonizziamo la nostra mente.

Solo allora saremo in grado di decolonizzare la narrativa tradizionale.

(Foto: [Celal Güneş/Anadolu Agency]).

Traduzione per InfoPal di Tatiana Tavano