Greta Thunberg attaccata per la sua solidarietà alla Palestina. Il colonialismo nell’ambientalismo israeliano

InfoPal. Di Lorenzo Poli. Attacco a Thunberg, esempio di doppio standard.

Il ministero dell’Istruzione di Israele ha dichiarato che rimuoverà qualsiasi riferimento all’attivista per il clima Greta Thunberg dopo la pubblicazione di un post con in mano un cartello che recitava “dalla parte di Gaza”.

L’attivista svedese ha ricevuto una lettera firmata da oltre 100 ambientalisti israeliani che di fatto la “destituiscono” come volto principale del movimento green a livello globale: “Quando Greta affronta un altro argomento in modo superficiale e dispregiativo, inevitabilmente indebolisce la validità delle sue posizioni sul clima. Persone di ogni estrazione sociale potrebbero pensare che la superficialità dimostrata sull’altro argomento possa mettere in dubbio la serietà e la profondità del suo attivismo per l’ambiente. Chi ha interessi acquisiti potrebbe sfruttare questo fatto per dipingere gli attivisti per il clima come poco seri e privi di spessore. Pertanto, anche senza affrontare le implicazioni etiche e morali che ha ignorato, Greta non è più un modello per noi nel contesto del cambiamento climatico” – hanno scritto gli attivisti israeliani.

Come accaduto ad altri attivisti come Patrick Zaki, la star della musica Roger Waters, o personaggi della cultura o altro, la necessità di conformarsi ad un tipo di posizionamento “buono” finisce per intrappolare gli schemi di pensiero.

Fa pensare come sia bastato poco per far declassare anche lei da “buon modello” a “nemico”. Quando Greta andò a visitare il presidente ucraino Zelensky a Kiev rimaneva comunque ancora un “buon modello”; ma è bastato un post “leggero” – poiché Greta non aveva mai mostrato grande spessore nelle disquisizioni di carattere politico o geopolitico – sul conflitto arabo-israeliano per essere attaccata dai movimento ambientalisti israeliani e per chiederne la “sconfessione” nelle lotte per il clima. Questo è un esempio di come il doppio standard occidentale agisca in modo censorio in base alle posizioni che si prendono e, da intoccabile del mainstream, si passa ad essere affondata dal mainstream stesso.

Il colonialismo nei movimenti ambientalisti israeliani.

Partendo dal fatto che la superficialità della trattazione di argomenti seri come il cambiamento climatico e la crisi ecologica è proprio ciò che ha resa famosa Greta Thunberg in tutto il mondo, ciò che emerge da questa vicenda è la questione coloniale nell’ambientalismo israeliano. Si tratta di un problema noto e che da anni moltissimi attivisti di sinistra, ambientalisti e antispecisti decoloniali e attivisti della causa palestinese stanno analizzando.

“In tutto il mondo i movimenti per la giustizia climatica considerano l’antirazzismo e la fine dell’oppressione coloniale israeliana parte integrante della loro lotta. Allora perché gli attivisti ambientali israeliani non sostengono i palestinesi?” – si chiedeva il giornalista Mor Gilboa – ambientalista e attivista per i diritti umani che guida il movimento “One Climate” ed ex direttore esecutivo dell’organizzazione ambientalista israeliana “Green Course” – in un articolo su +972Magazine, qualche anno fa.

Il movimento israeliano per il clima rimane in silenzio quando si tratta di combattere il neoliberismo, il razzismo, l’oppressione e l’occupazione coloniali e militari e il suo profondo danno ecologico nei confronti della Palestina e delle persone che ci vivono: l’assurdità di “creare un giardino laddove vi era il deserto” ha creato profondi squilibri ecologici nel deserto del Negev, provocando una profonda crisi idrica sul lago di Tiberiade; o l’impiego di soluzioni tecnocratiche come la de-salinizzazione del lago di Tiberiade per innaffiare il Negev; o la volontà colonialista israeliana di minare le economie di sussistenza palestinesi basata sull’agricoltura locale ecologica per gettare la popolazione nella disperazione; o la volontà di usare i Territori Occupati Palestinesi per creare monoculture intensive; o addirittura lo sradicamento arbitrario di milioni di alberi nelle terre palestinesi.

Tutto il danno che sta provocando il greenwashing israeliano ha la finalità di oscurare la responsabilità di Israele nel dramma della crisi ecologica e di perpetrare l’occupazione coloniale. Come denunciano da anni gli ambientalisti palestinesi, addirittura Israele usa delle scuse “green“, come la piantumazione del Negev per portare avanti i progetti coloniali di insediamenti illegali in Cisgiordania, espropriando le terre ai palestinesi.

Come ha scritto Gilboa: “Più di un secolo di colonizzazione della terra ha portato non solo alla cancellazione di rare aree ecologiche come il lago Hula nel nord del Mar Morto, ma anche alla conquista di un intero paese dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano. Ha significato cancellare un intero popolo dal paesaggio, espellendo le comunità indigene, espropriando la loro terra, giudaizzando il Negev/Naqab e la Galilea e stabilendo centinaia di comunità, insediamenti e avamposti esclusivamente ebraici in tutto il paese. Il movimento ambientalista in Israele è rimasto tradizionalmente in silenzio su queste questioni fondamentali, preferendo rimanere neutrale piuttosto che rappresentare una minaccia per l’impresa sionista e il suo regime politico-economico. Il movimento ambientalista ha preferito cercare di accontentare tutti, mentre non si allontana quasi mai da quello che è considerato il mainstream politico. Anche la scarsa opposizione all’accaparramento di terre e alla costruzione di insediamenti spesso si aggrappa ad argomenti radicati nella pianificazione e nelle pratiche ecologiche, mai nei diritti dei palestinesi la cui terra è stata saccheggiata”.

L’ambientalismo si collega facilmente alle lotte contro la corruzione governativa, l’ipercapitalismo, il rifiuto dell’interesse pubblico, e al tema dei diritti umani, al femminismo e all’antirazzismo. Da anni i movimenti ambientalisti si pongono la questione coloniale, aderendo alle lotte intersezionali in quanto ogni oppressione è collegata. Come scriveva Gilboa: “Al contrario il movimento israeliano per il clima rimane nella zona di comfort del mainstream, sia per cecità, ideologia o per paura di perdere l’ampio sostegno pubblico a cui il movimento ambientalista si è abituato nel corso degli anni”.

I movimenti ambientalisti israeliani non hanno ancora fatto i conti con il colonialismo sionista e sono indietro anni luce nei processi di decolonizzazione del proprio ambientalismo.