I fratelli al-Harroub, solidali in carcere, nella fame e nella sofferenza

Palestinian_Political_Prisoners_by_Latuff3Al-Khalil (Hebron)–Quds Press. Da quasi due mesi, Younis al-Harroub, dal villaggio di Kharas, a Hebron (sud della Cisgiordania) conduce uno sciopero della fame, per protestare contro il suo arresto amministrativo. Da 37 giorni, egli si trova su un letto, con mani e piedi legati, all’ospedale di Soroka di Beer Sheva (Bir es-Saba’a).

L’eco delle sue grida di sofferenza ha raggiunto Khaled, suo fratello, condannato a tredici anni di carcere e rinchiuso a Ramon, così, anch’egli ha iniziato uno sciopero di solidarietà.

Nella Giornata dei prigionieri palestinesi, la sofferenza di Khaled e Younis riflette la situazione di molte famiglie palestinesi. In questo giorno, i dolori degli addii, di molti anni fa, dei padri, figli e fratelli vengono rievocati. Per la madre dei due fratelli al-Harroub, la sofferenza delle mogli e dei figli dei 4700 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, è doppia.

L’anziana signora, Khudra al-Harroub, 67 anni – il cui viso è segnato dalla tristezza, per i lunghi anni di sofferenza, di separazione dai propri cari e la sopraggiunta ansia per la sorte di suo figlio Younis, in sciopero della fame da 58 giorni, mentre l’altro suo figlio, Khaled, condannato a 13 anni e mezzo di carcere, dieci dei quali già trascorsi – ha un solo desiderio: sopravvivere abbastanza per riabbracciare i suoi due figli.

L’anziana signora ha riferito di non riuscire a dormire, nemmeno a mangiare, da due mesi. La salute di suo figlio, Younis, in sciopero della fame da due mesi, sta peggiorando, mentre Khaled, che ha appena iniziato uno sciopero di solidarietà con suo fratello, sta passando i migliori anni della sua gioventù in carcere. Nonostante ciò, nessuno si sta muovendo per porre fine alla loro sofferenza, e a quella degli altri prigionieri.

Con una voce rotta dal dolore, la madre aggiunge: “Non voglio accogliere il suo corpo (quello di Younis) senza vita, come ha fatto la madre di Ashraf Abu Zurai’, o la moglie di Maysara Abu Hamdiya. Vorrei che uscisse dal carcere camminando con i propri piedi, e che sua moglie e i suoi figli potessero rallegrarsi di rivederlo e vivere con lui, proprio come tutte le altri mogli e figli del mondo”.

Ahmed, un bambino di tre anni e Saifullah di uno, osservano la situazione con una domanda nella testa: dov’è nostro padre? Youssef al-Harroub, lo zio dei due, afferma: “Ahmed ha iniziato a mostrare segni di disturbi psicologici, diventando più aggressivo, dopo l’arresto di suo padre, mentre Saifullah si attacca a qualsiasi figura maschile chiamandola papà. Quando il suo vero padre è stato arrestato, egli aveva solo tre mesi”.

La situazione è tragica, la nostra famiglia vive uno stato d’ansia senza precedenti, soprattutto nelle ultime due settimane, da quando le notizie di mio fratello hanno smesso di giungerci. Né la Croce Rossa né il suo avvocato sono riusciti a visitarlo, anche dopo la fine delle festività ebraiche, e nonostante sia ricoverato nell’ospedale di Bir Sheva”. Sono le parole di Youssef, fratello di Younis, che ha trascorso sei anni in carcere ed è stato arrestato, di nuovo, l’anno scorso e sottoposto agli arresti amministrativi, più volte prorogati.

Secondo Youssef al-Harroub, le ultime notizie ricevute dalla famiglia risalgono al 4 aprile scorso, quando l’avvocato di Younis ha potuto fargli visita. L’avvocato ha dichiarato: “Younis è apparso magro, debole e sofferente, aveva perso un terzo del suo peso a causa dello sciopero della fame, in procinto di raggiungere il terzo mese consecutivo”. Aggiunge l’avvocato: “Egli giace su un letto, con le mani e i piedi legati, all’ospedale di Soroka, dove per alcuni giorni, ha anche smesso di bere l’acqua, per chiedere che i suoi piedi vengano slegati, per poter eseguire le sue preghiere seduto sul letto. Di notte, viene legato di nuovo, con le guardie israeliane che lo sorvegliano costantemente”.

La famiglia di al-Harroub ha denunciato la negligenza ufficiale e l’indifferenza del ministero per gli Affari dei prigionieri di Ramallah, e quella della Società dei prigionieri di Hebron, nei confronti del loro figlio. Aggiungono: “La nostra sofferenza aumenta quando notiamo che il problema di Younis è trascurato, e non riceve il supporto necessario, non veniamo nemmeno invitati agli eventi organizzati dal ministero o dalla Società dei prigionieri. Cosa aspetta il ministero per sostenere noi e le altre famiglie dei detenuti?”