Il colonialismo israeliano, non occupazione: definiamo i termini del discorso

MEMO . Di Akram Al Deek. Dobbiamo fare riferimento all’esistenza illegale di Israele e alle sue azioni contro i palestinesi con la giusta terminologia per decolonizzare i quadri imperiali e per evitare le costruzioni e i poteri dominanti imperiali del linguaggio e della cultura, perché la decolonizzazione della mente viene prima di tutto.

La prevedibile morte del cosiddetto “processo di pace” e l’inevitabile fine della “soluzione a due Stati” hanno spostato l’attenzione dal porre fine alla cosiddetta “occupazione” al problema più ampio e profondo dell’oppressione coloniale di Israele in tutta la Palestina. La dispersione delle comunità palestinesi in Cisgiordania, nella Striscia di Gaza, all’interno di Israele, in esilio e nel deserto del Negev ha reso ancora più difficile raggruppare una popolazione palestinese all’interno dei confini di uno Stato-nazione. La divisione della Cisgiordania in mini-ordini alfabetici denominati Zone A, B e C, ciascuna con proprie giurisdizioni politiche e militari, richiede una seria revisione del diritto internazionale. I territori colonizzati della Palestina non vengono chiamati “Territori Occupati della Palestina” perché l’occupazione, in questo caso, non è semplicemente concentrata sul prendere possesso delle terre di altri popoli con mezzi militari e politici, senza sfollarli e senza una sostanziale appropriazione culturale.

L’occupazione è più focalizzata su geografia e alloggio, mentre il colonialismo implica applicazioni più profonde, come pratiche culturali, economiche e psicologiche, per prendere il controllo. Mentre l’occupazione significa trasferimento, il colonialismo implica la distruzione. Mentre l’occupazione è, per definizione, temporanea, il colonialismo è a lungo termine. Mentre l’occupazione potrebbe comportare alcune forme di sfruttamento economico della manodopera gratuita e delle risorse naturali, il colonialismo si nutre di esse. Esempi di occupazioni storiche sono: l’occupazione giordana della Cisgiordania, l’occupazione egiziana di Gaza, l’occupazione indiana di Goa e l’occupazione indonesiana della Nuova Guinea Occidentale. Tra gli esempi storici di colonialismo citiamo: il colonialismo britannico, il colonialismo francese, il colonialismo spagnolo e il colonialismo portoghese.

Di conseguenza, ciò che viene erroneamente definito come “insediamenti israeliani” sono, in sostanza, “colonie di coloni”. Quello che viene definito in maniera fuorviante come “occupazione israeliana” è, in verità, un atto di colonialismo sionista, attuato mediante la pratica di genocidio e apartheid per sradicare i palestinesi e sostituirli con altre popolazioni. Israele è un progetto sionista di colonizzazione, iniziato 126 anni fa con la fondazione del movimento sionista, il cui obiettivo era quello di costruire una patria esclusiva per una “popolazione” ebraica in Palestina a spese degli abitanti nativi di quella terra, già esistente alla fine del XIX secolo.

Mentre l’occupazione di solito si conclude con l’annessione, il colonialismo non finisce qui. Il colonialismo termina solo con la decolonizzazione, l’indipendenza e il rovesciamento dei poteri coloniali. Ciò si raggiunge solo attraverso l’autodeterminazione e l’autonomia economica, culturale e psicologica.

La Legge del Ritorno e la cittadinanza nazionale israeliane, ad esempio, rappresentano l’apice del razzismo. Da un lato, le leggi nazionali israeliane sul ritorno consentono a ogni ebreo in qualsiasi parte del mondo di immigrare in Israele e nei Territori palestinesi occupati e di ottenere automaticamente la cittadinanza israeliana. Dall’altro lato, Israele nega ai palestinesi autoctoni sfollati il loro diritto legale di tornare nella loro terra natale perché non ebrei. Peggio ancora, tratta i palestinesi che vivono all’interno dello Stato di Israele, chiamati anche “arabi israeliani” e che costituiscono oltre il 20% della popolazione di Israele, come cittadini di serie B. Molti immigrati dall’Etiopia sostengono di discendere dagli ebrei etiopi, ma si sono convertiti al cristianesimo diverse generazioni fa. Alcuni sono stati ammessi nello Stato di Israele sotto la Legge del Ritorno, mentre altri sono stati accettati per eccezioni umanitarie e vivono nei campi. Altri grandi gruppi con ascendenza ebraica sono anche immigrati dall’ex Unione Sovietica. L’integrazione tra questi vari gruppi all’interno dello Stato di Israele è effettivamente molto problematica.

La Legge sulla Cittadinanza israeliana, inoltre, impedisce l’unificazione delle famiglie palestinesi: ai palestinesi con cittadinanza israeliana sposati con palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza non è consentita la cittadinanza così come neanche gli stessi diritti. Tale legge vieta inoltre l’unificazione con coniugi provenienti da “Stati nemici”, tra cui Siria, Libano, Iraq e Iran. Le discriminazioni qui si basano su affiliazioni nazionali, religiose ed etniche, mentre Israele si considera ancora una democrazia. Fino a quando non saranno rimosse, Israele non potrà essere considerata una democrazia con leggi di apartheid del genere: il sionismo e lo Stato di Israele equivalgono al razzismo.

Pagare l’olio d’oliva palestinese, i libri di testo e la letteratura palestinese con shekel israeliani è andato oltre l’occupazione spaziale e ha scavato più a fondo nel cuore della psiche palestinese. Quando Israele concede alle sue comunità LGBTQ+ i loro pieni diritti e scelte di esprimere la propria identità attraverso varie pratiche di genere e sessualità, mentre i palestinesi continuano a lottare per bisogni umani basilari come acqua, elettricità e mobilità, ciò non riflette le pratiche di un’occupazione. Più di cento anni di esilio, sfollamento, nostalgia, false speranze di ritorno, campi profughi, colonie di coloni, imperialismo culturale, trauma transgenerazionale, sionismo razzista, colonie in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Alture del Golan, depressione collettiva, disumanizzazione, acculturazione, omicidi, un genocidio dopo l’altro, pregiudizi coloniali e imprigionamento collettivo e individuale non sono un’occupazione. È colonialismo per eccellenza. 

Oggi, ridefiniamo i linguaggi linguistici e politici. Ridefiniamo cosa significa essere palestinesi.

Traduzione per InfoPal di Rachele Manna