Il fuoco dei territori.

Da www.ilmanifesto.it del 16 dicembre.

Il fuoco dei territori
La Palestina precipita. Da ieri notte tra Hamas e Fatah si sta consumando qualcosa di più di incidenti tra fazioni. Si sta dissipando una parte della loro storia, certo sempre conflittuale, ma fin qui produttiva e unitaria. Il confronto aperto del resto dura dall’inizio dell’anno, quando Hamas ha vinto per la prima volta le elezioni politiche e guida ora il «governo» dei Territori occupati. Probabilmente l’attentato al premier Ismail Haniyeh non c’è stato, perché chiunque pensasse di ucciderlo deve mettere in conto una reazione mortale. Ma nella sparatoria è rimasto ferito il figlio e uccisa una delle guardie del corpo. Poi ieri altri spari sulla folla che protestava. Il gioco al ribasso e alla provocazione dei servizi segreti palestinesi guidati dall’eminenza grigia Mohammed Dahlan sotto controllo internazionale (dell’intelligence americana, secondo gli accordi internazionali della Road Map) comincia a dare «risultati».
E’ uno scenario triste e sanguinoso, dove ogni principio di autorità politica sembra scomparire e con esso, dopo la morte «oscura» di Arafat due anni fa, la storia della lotta di liberazione di un popolo. A Yasser Arafat relegato, poco prima di morire, in un angolo della sua residenza di Ramallah veniva da pensare guardando il premier Ismail Haniyeh seduto in attesa delle decisioni di Israele su un muretto al valico di Rafah, impossibilitato a portare in patria i fondi raccolti nella missione politica in Medio Oriente di fronte all’embargo occidentale. In un episodio che ha fra l’altro dimostrato che è Israele a controllare il confine con l’Egitto e l’assoluta inutilità dei poliziotti-osservatori italiani.
Sarebbe ora di dire basta. Perché è in gioco la residua possibilità di uno Stato palestinese, Haniyeh e Abu Mazen, responsabili a questo punto senza appello del disastro, farebbero bene a ricordarselo. Solo ieri l’alta corte israeliana ha ancora una volta autorizzato come «legali» le esecuzioni mirate contro i militanti palestinesi, siano essi di Hamas o di Fatah poco importa per l’occupante. Il premier Haniyeh già ieri ha lanciato un appello all’unità e «a non spargere sangue palestinese, da nessuna parte» ma all’interno di un discorso che richiamava le «vittorie su Israele in Libano e sugli Usa in Iraq». Anche dall’Anp è venuto un appello alla calma. Ma c’è il timore è che oggi Abu Mazen annunci nuove elezioni e, quindi, la destituzione del governo. Se dovesse accadere, la situazione esploderà.
Eppure è chiaro che non c’è nessun protettorato, sia esso iraniano o siriano, né tantomeno statunitense, che può soccorrere positivamente le sorti della Palestina. Ed è altrettanto chiaro che ormai, senza una prospettiva per lo Stato palestinese rimandato dalla comunità internazionale sine die, la situazione imploderà in un disperato conflitto intestino i cui effetti collaterali non rimarrano certo in Medio Oriente.
Da aggiungere solo che i palestinesi, ma proprio tutti, «ringraziano» il governo italiano per le promesse di un ruolo di interposizione tra Israele e i Territori occupati dopo la scelta dei caschi blu in Libano – a proposito, che ci stanno a fare lì, se non si interviene, e subito, a salvare la possibilità di uno Stato palesinese? Ringraziano per gli abbracci calorosi a Ehud Olmert, il responsabile dei raid sanguinosi quest’estate sul Libano; e davvero non credono ai loro occhi di fronte ai media del mondo che mandano in onda l’immagine del premier israeliano che suggerisce a Romano Prodi le parole da dire in conferenza stampa sulla Palestina.

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