Il Grande Scisma: sarà silenziosamente ignorato?

Strategic-culture.su/. Di Alastair Crooke. Dobbiamo riconfigurare il nostro pensiero su un piano più esteso per tenere conto dell’intrusione di dimensioni mutevoli nella coscienza.

L’ex primo ministro francese Dominique De Villepin, famoso per aver guidato l’opposizione della Francia alla guerra in Iraq, ha recentemente descritto il termine “occidentalismo” (attualmente il sentimento prevalente in gran parte dell’Europa) come l’idea che “l’Occidente, che per cinque secoli ha gestito gli affari del mondo, possa continuare tranquillamente a farlo”. Prosegue: “C’è questa idea che, di fronte a ciò che sta accadendo in Medio Oriente in questo momento, dobbiamo continuare la lotta ancora di più, verso ciò che potrebbe assomigliare a una guerra religiosa o di civiltà”. “Vale a dire, isolarsi ancora di più sulla scena internazionale”. “Si sono giocati tutto su un certo quadro morale ed etico del mondo e, di fronte a una situazione in cui il tessuto morale dell’Occidente è stato apertamente esposto e confutato, trovano estremamente difficile, e forse fatalmente impossibile, ritirarsi”.

Lo stesso vale per Israele (che è legato all’Occidente a livello ancestrale): se Israele dovesse immaginare che i suoi ex alleati arabi possano voltare lo sguardo dall’altra parte mentre lo Stato ebraico tenta di annientare la resistenza a Gaza, e poi aspettarsi che questi alleati aiutino a sorvegliare e pagare per un apparato di sicurezza a Gaza, sarebbero colpevoli di pensare in modo illusorio.

E se sia Washington che Israele presumono che questo piano “post Gaza” possa svolgersi nello stesso momento in cui i coloni militanti dall’altro lato del territorio costruiscono il loro regno di insediamenti con l’obiettivo esplicito di fondare Israele sulla Terra d’Israele (cancellando così del tutto la Palestina), anche questa idea costituirebbe una fantasia, sia strategicamente che moralmente incoerente.

Non funzionerà. Israele non sarà in grado di trovare né i partner palestinesi né gli alleati globali di cui ha bisogno per cooperare in un tale piano. La situazione in Medio Oriente si è radicalmente trasformata: se prima la Palestina riguardava la liberazione nazionale, oggi è il simbolo di un risveglio di civiltà ben più ampio – la “fine di secoli di umiliazione regionale”.

Allo stesso modo, mentre il sionismo in Israele era in gran parte un progetto politico laico (Grande Israele), oggi è diventato messianico e profetico.

Il punto qui è che continuiamo a pensare alla questione di Gaza nella “vecchia maniera”, attraverso il prisma del razionalismo materialista secolare. Questo porta a conclusioni come “Hamas è oggettivamente più debole delle forze di difesa israeliane”, e quindi razionalmente queste ultime devono prevalere in quanto parte più forte.

Tuttavia, in questo modo di pensare esiste solo “un’unica realtà”, con solo le descrizioni e le interpretazioni di questa “realtà” che differiscono. Eppure, c’è innegabilmente più di “una realtà” mentre collettivamente progrediamo da una coscienza all’altra. In una coscienza, ad esempio, “Hamas è destinata a fallire”, e la discussione si sposta sulle nozioni statunitensi e israeliane su “cosa succede a Gaza”.

In un altro stato di coscienza, però, sempre più prevalente nella regione, la “realtà” è che qualsiasi compromesso negoziato “razionalmente” tra due strutture escatologiche in collisione è impossibile, specialmente se il conflitto dovesse esacerbarsi orizzontalmente, traboccando quindi dai confini di Gaza.

Altri “fronti” potrebbero aprirsi, poiché Gaza è vista, indipendentemente dal fatto che Hamas venga schiacciata o meno, come la scintilla rivoluzionaria che accende una trasformazione nella coscienza del Medio Oriente e del Sud Globale (si noti l’elenco degli Stati del Sud Globale che stanno tagliando i legami diplomatici con Israele).

L’Occidente ha scelto di rinchiudersi in un silos di sua creazione, come definito dalla sua richiesta di unicità di messaggistica secondo cui tutta l’Europa “stia con Israele”; rifiutando qualsiasi cessate il fuoco; e dicendo “nessun limite” all’azione israeliana (nel rispetto della legge).

Un commentatore israeliano veterano scrive:

“Ci troviamo di fronte a un’istanza (Israele) in cui un paese è così devastato, scioccato, umiliato e naturalmente consumato dalla rabbia che la vendetta diventa l’unico fine. Il momento in cui un Paese si rende conto che il suo deterrente è fallito e le percezioni del suo potere sono state così criticamente diminuite, da essere spinto unicamente dalla motivazione di ripristinare un’immagine di potere”.

“È un punto pericoloso in cui i decisori politici pensano di poter fare a meno dell’assioma del teorico militare von Clausewitz: “La guerra non è solo un atto politico, ma un vero strumento politico, una continuazione del rapporto politico, una sua attuazione con altri mezzi”. L’Europa, prendendo spunto da Washington, sta semplicemente ignorando l’assioma di Clausewitz, legandosi incondizionatamente alle operazioni militari di Israele, con il rischio concreto di collusione con qualsiasi cosa possa accadere in quel Paese.

In parole povere, l’ordine comando che deve esserci una distinzione inequivocabile tra verità e menzogna e l’unicità di significato riguardo alla questione palestinese, oltre al divieto di “messaggi filopalestinesi”, riflette una profonda insicurezza nell’Occidente, come se un messaggio unilaterale potesse essere il rimedio a uno scontro civile. Nell’attuale clima, chiedere persino un cessate il fuoco può far perdere il posto di lavoro.

Piuttosto, questa posizione serve solo a isolare l’Europa dal giocare un ruolo sulla scena internazionale, tranne quello di minacciare un’escalation contro l’Iran, nel caso in cui Hezbollah dovesse aprire un fronte settentrionale contro Israele.

Anche in questo caso, ci troviamo di fronte al problema del “vecchio pensiero” materialista razionalista, che vede il dispiegamento di portaerei e la dispersione di difese aeree nella regione come manifestazioni di una forza così schiacciante e potenziale da costituire una deterrenza, mentre Israele conclude gli affari di repressione delle irruzioni palestinesi a Gaza e in Cisgiordania senza interruzioni.

Il mito della deterrenza è stato qui soppiantato dalle tattiche asimmetriche della nuova guerra. I conflitti sono diventati geograficamente diversi, tecnologicamente più complessi e multidimensionali, specialmente con l’inclusione di attori non statali militarmente esperti. Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti sono così nervosi all’idea che Israele intraprenda una guerra su due fronti.

L’“altra realtà” è che la pura potenza di fuoco non sia “’tutto”. La gestione dell’escalation controllata è la nuova dinamica. Gli Stati Uniti possono pensare (materialmente e razionalmente) di possedere da soli il dominio dell’escalation. Ma è proprio così, in questo nuovo mondo multidimensionale e asimmetrico?

Inoltre, l’”altro” stato di coscienza potrebbe leggere le questioni in modo diverso: il bombardamento di Gaza da parte di Israele potrebbe rivelarsi più prolungato di quanto gli Stati Uniti si aspettino, e il suo esito potrebbe non produrre il ripristino definitivo della deterrenza israeliana, a cui aspira la maggior parte degli israeliani. Visto dinamicamente, l’assalto di Israele a Gaza potrebbe produrre, piuttosto, un’ulteriore metamorfosi nella coscienza regionale verso rabbia e mobilitazione, imprimendo una nuova dinamica nella “realtà” geostrategica.

Sebbene la deterrenza venga presentata come un obiettivo (consentendo a Israele di trovare un nuovo paradigma di sicurezza per sé), l’escalation militare non porterà ad alcun accordo sostenibile mediante il quale la divisione della Palestina del Mandato in due stati possa essere raggiunta. Anzi, lo allontanerà ulteriormente dal suo raggiungimento.

Potrebbe quindi l’attuale tumulto in Palestina essere messo semplicemente e silenziosamente a tacere sotto la gestione della Casa Bianca?

Considerare la guerra tra Israele e Hamas come un evento locale sarebbe un altro errore del “vecchio pensiero”. Questa è diventata una guerra per l’esistenza palestinese, tra la visione ebraica di Israele e la visione islamica del proprio Rinascimento di civiltà. In questa seconda visione, la ferita palestinese costituisce una lacuna che si è perpetrata per ben 75 anni, a causa di una malagestione occidentale.

La questione palestinese non svanirà ora, né sarà risolta ripristinando la discreditata Autorità Palestinese, né con vaghi “colloqui” su un “futuro” Stato palestinese. Dobbiamo riconfigurare il nostro pensiero su un piano più esteso per tenere conto dell’intrusione di dimensioni mutevoli nella coscienza.

Traduzione per InfoPal di Rachele Manna