Il regime israeliano di residenza provoca “trasferimenti silenziosi” da Gerusalemme

131002-qalandiya-checkpointElectronic Intifada. Ramallah 2 ottobre 2013.

“Io non riconosco più Gerusalemme, quella in cui ho vissuto in passato”, ha raccontato Suheir Azzouni, una palestinese di Gerusalemme che si è divisa nell’ultimo decennio tra la sua città natale e la Francia.

“È davvero scioccante e molto alienante, ma allo stesso tempo è questa la nostra patria”, ha dichiarato Azzouni a The Electronic Intifada in una intervista telefonica. “Ho notato come le famiglie [a Gerusalemme] siano frammentate, poiché il muro di separazione [di Israele] ha costretto alcune persone all’interno ed altre all’esterno della città, e quanto sia difficile per i bambini andare a in una scuola o nell’altra”.

“Hanno creato un inferno per noi”.

Azzouni e la sua famiglia si sono trasferiti in Francia, dodici anni fa, dopo che il marito, Khalil Mahshi, aveva ottenuto un lavoro come direttore di un programma dell’agenzia delle Nazioni Unite, l’UNESCO. Suo marito è emigrato da solo inizialmente, ma prendendo in considerazione l’educazione dei figli, Azzouni ed i tre figli lo hanno seguito otto mesi più tardi.

Dal trasferimento, Azzouni è spesso tornata temporaneamente a Gerusalemme, una volta per un periodo di dieci mesi. “Non è possibile mantenere due case”, ha spiegato Azzouni, “non siamo milionari”.

Senza patria

Nonostante il fatto che l’ONU abbia più volte ripetuto che Gerusalemme Est è occupata illegalmente da Israele, i palestinesi di Gerusalemme sono in possesso di un’indecente carta di soggiorno speciale, rilasciata da Israele, e sono considerati senza patria secondo il diritto internazionale. La maggior parte dei palestinesi di Gerusalemme, comunque, ha diritto ad un passaporto giordano.

Durante l’ultima visita della famiglia lo scorso mese di luglio, il marito di Azzouni e le due figlie si sono recati al ministero degli Interni israeliano per rinnovare i documenti di viaggio.

“Dopo aver appreso che [mio marito] era in possesso un passaporto francese, il direttore dell’ufficio del ministero degli Interni ha revocato i documenti d’identità di tutti, me compresa, che non ero presente, e di mio figlio che era in Francia”, ha rivelato.

Nel caso della famiglia Mahshi, il ministero ha citato la politica israeliana del Center of Life, che impone ai palestinesi di Gerusalemme l’onere di provare al di là di ogni dubbio che Gerusalemme è sia il luogo di residenza che di lavoro.

Gli ebrei israeliani, che spesso rientrano a Gerusalemme da paesi di tutto il mondo, non hanno gli stessi obblighi.

“Come tutti gli esseri umani normali, dovremmo essere in grado di viaggiare, vivere e lavorare all’estero e poi di tornare in patria”, ha aggiunto Azzouni.

Quest’ultima richiesta non è certo il primo problema che la famiglia Mahshi ha dovuto affrontare, da parte delle autorità israeliane, dal momento del loro trasferimento. Continuando avanti e indietro tra Francia e Palestina nel corso degli anni, Azzouni ha dichiarato di aver dovuto affrontare continue vessazioni, di aver dovuto assumere avvocati più volte per dimostrare di essere dipendenti delle Nazioni Unite e di non essere in possesso di una seconda cittadinanza.

Eppure, i problemi sono aumentati dopo che al marito è stata riconosciuta la cittadinanza francese per aver ricevuto una medaglia “per il suo lavoro in materia di istruzione in Palestina”, ha assicurato Azzouni. Le autorità israeliane hanno giustificato la revoca di tutti e cinque i loro documenti d’identità sostenendo che l’intera famiglia beneficiava della cittadinanza francese.

Solo ad una delle loro due figlie, tuttavia, è stata concessa la cittadinanza francese perché aveva meno di diciotto anni. Il resto della famiglia vive in Francia con un permesso di soggiorno “che non è automaticamente rinnovabile e non è un permesso di residenza permanente”, ha sottolineato, aggiungendo che scade ogni dieci anni.

Frammentazione di famiglia

Azzouni non può beneficiare della cittadinanza francese perché il marito non era un cittadino francese al momento del matrimonio. “Gli altri due figli, che ora sono senza patria, non sono buoni candidati per la cittadinanza”, ha spiegato. Questi ultimi avevano più di 18 anni quando al padre fu concessa la cittadinanza francese.

“Questa è la frammentazione della famiglia”, ha detto Azzouni, “due sono ora cittadini francesi, io sono giordana – ma in quanto palestinese, non ho diritto a far ottenere la cittadinanza giordana al resto della famiglia – e due sono completamente senza patria”.

Per quanto la famiglia Mahshi abbia deciso di sfidare la revoca dei loro documenti di identità nei tribunali israeliani, Azzouni ha dichiarato di sentirsi senza speranza.

“No, non ho alcuna speranza perché le loro leggi sono discriminatorie… Questa politica del Center of Life è un modo per cacciarci via dalla nostra patria”, ha asserito.

Da luglio, Azzouni ha ripetutamente tentato di diffondere la sua storia nei media statunitensi, tra cui The Huffington Post ed il New York Times. Tuttavia, nessuno ha risposto alle sue comunicazioni.

“Ci si sente come se il mondo intero stesse cospirando contro di noi e nemmeno ci lascia esprimere il nostro dolore”, ha affermato. “Speravamo di tornare indietro e ritirarci nel nostro paese, potendo invecchiare in pace nella nostra casa, con i nostri amici”.

Eppure, se il tribunale israeliano confermasse la revoca, la loro unica opzione sarebbe “sperare che i francesi non ci caccino via”.

Una petizione online a sostegno della famiglia Mahshi ha già ricevuto più di 1.200 firme.

Costante condizione di limbo

Il professor Kamel Hawwash, cittadino britannico di origini palestinesi e vicedirettore del Palestine Solidarity Campaign nel Regno Unito, ha dichiarato a The Electronic Intifada che la politica del Center of Life influisce su ogni aspetto della vita dei palestinesi di Gerusalemme.

La moglie di Hawwash, che ha il documento d’identità di Gerusalemme, ritorna in Palestina ogni anno per dimostrare il suo collegamento immediato con la città per paura di vedere revocare anche il suo documento. Quando la coppia ha deciso di avere un figlio, un paio di anni fa, si sono confrontati in merito a quale cittadinanza scegliere per il bambino.

Le autorità israeliane hanno rifiutato di concedere a loro figlio un documento d’identità di Gerusalemme. “Hanno detto che l’unico modo che abbiamo per aggiungerlo è che la famiglia viva due anni consecutivi [nella città]”, ha detto Hawwash.

Hawwash ha descritto un costante stato di limbo per i palestinesi di Gerusalemme. Sua moglie è sempre preoccupata di vedersi sottrarre il proprio documento, che potrebbe implicare anche la separazione tra lei ed il figlio di 20 mesi da tutta la sua famiglia.

Nel frattempo, ogni volta che viaggiano per ritornare in patria, il bambino deve entrare con visti turistici che durano tre mesi e che sono spesso negati ai palestinesi. Inoltre, non è chiaro se la moglie di Hawwash potrà beneficiare di un passaporto rilasciato dall’Autorità Palestinese nel caso che il suo documento d’identità di Gerusalemme venisse revocato.

“Fanno in modo che i palestinesi non possano pianificare una vita, mentre gli ebrei israeliani possono”, ha commentato Hawwash. “Non è forse un cercare di garantire che Gerusalemme si spopoli dei palestinesi o che la sua popolazione sia controllata?”

“L’Occidente parla dell’importanza della sicurezza di Israele, ma evidentemente non riesce a vedere la precarietà dei palestinesi. Questa è la vera questione della precarietà, come si sentano come individui e l’impatto sulla loro vita quotidiana”.

“I cittadini israeliani sono liberi di lasciare lo stato per un lungo periodo di tempo – e di godere della doppia cittadinanza – senza paura di vedere revocato il loro diritto di tornare a vivere nel loro luogo di nascita”, ha dichiarato a The Electronic Intifada Rima Awwad, della Campagna per i palestinesi di Gerusalemme.

Notando che Israele incoraggia gli ebrei di tutto il mondo ad immigrare e beneficiare della cittadinanza israeliana, Awwad ha continuato, “la politica del Center of Life istituzionalizza un sistema di diritto per vivere nella terra occupata, basandosi esclusivamente su una disposizione etnico-religiosa di Israele”.

Tra il 1967 ed il 2012, Israele ha privato della residenza più di 14.000 palestinesi di Gerusalemme, secondo i dati dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem.

Awwad ha asserito che la politica israeliana a Gerusalemme Est punisce i palestinesi con “la demolizione delle case, la discriminazione locale, un tasso di povertà elevato, la disoccupazione di massa, gravi limitazioni al permesso di costruzione ed agli ampliamenti abitativi – a tal punto che i palestinesi sono quasi costretti ad emigrare. Una volta fatto ciò, la politica del Center of Life viene utilizzata per garantire che essi non siano più in grado di tornare”.

Così, la politica del Center of Life è solamente una tra una serie di leggi volte a radicare l’insediamento ebraico e a spingere i palestinesi fuori dalla città.

“Stiamo subendo un trasferimento silenzioso”, ha concluso Suheir Azzouni “e questo è illegale”.

Traduzione di Erica Celada