La Striscia di Gaza in piena crisi da stress post-traumatico a seguito dei bombardamenti israeliani

Scientific American. Di Yasser Abu Jamei. “Hai mai visto un bambino di sei mesi con una risposta esagerata di sussulto?”

Uno dei miei colleghi che lavora al nostro servizio di consulenza telefonica mi stava chiamando per un consiglio su come rispondere a diverse madri sconvolte che chiedevano come aiutare i loro figli che avevano iniziato a mostrare questo tipo di sintomi da trauma durante il recente bombardamento. Il nostro servizio telefonico è tornato operativo e ha risposto alle chiamate già dal ​​terzo giorno degli attacchi a Gaza, anche se ovviamente con alcune difficoltà.

La domanda mi ha riportato indietro di 20 anni, a quando ero un giovane residente nel reparto pediatrico dell’ospedale Nasser, a Khan Younis, la seconda città più grande di Gaza, nella parte meridionale della Striscia. Allora, il mio piano era diventare un pediatra. L’ospedale, nella parte occidentale della città, non era lontano dalle colonie israeliane. Spesso, nel cuore della notte, ricevevo madri che arrivavano al pronto soccorso pediatrico con bambini piccoli che avevano iniziato a urlare senza un motivo chiaro. L’esame obiettivo per lo più non rivelava nulla di anormale. Forse questa è stata la spinta che mi ha fatto addestrare per diventare uno psichiatra.
Durante quelle notti, si sentivano spesso gli spari provenienti dall’interno delle alte fortificazioni delle colonie israeliane. I proiettili normalmente finivano contro i muri delle case palestinesi o in altri edifici che si affacciavano sulle colonie. Quella era l’esperienza comune a cui noi adulti eravamo abituati, e ovviamente qualcosa con cui anche i bambini, anche i più piccoli, dovevano convivere.

Pensando a quelle madri e quei a bambini, mi sono poi chiesto quali sono le probabili conseguenze psicologiche di questa offensiva di 11 giorni sulla popolazione della Striscia di Gaza, e come sarà diversa dalla guerra di Gaza del 2014, che è durata sette settimane, tra a luglio ed agosto, nella quale c’è stata un’invasione terrestre a Gaza ed è risultata in 2.251 palestinesi uccisi e 11 mila feriti.

DOPO LA GUERRA 2014.

Nel 2014 abbiamo formato nel Gaza Community Mental Health Program (GCMHP) quelle che abbiamo chiamato “squadre di risposta alla crisi”, che di solito erano composte da un uomo ed una donna, entrambi psicologi. Il loro compito principale era quello di fornire un pronto soccorso psicologico: fornire appoggio psicologico e scoprire ed indirizzare ai nostri tre centri comunitari i casi che necessitano di ulteriori interventi. I genitori parlavano spesso dei cambiamenti che erano iniziati nei loro figli. I bambini avevano scarsa concentrazione, difficoltà a dormire ed incubi notturni, enuresi ed irritabilità. I bambini più piccoli si aggrappavano ai loro genitori.

Durante i quattro mesi successivi agli attacchi del 2014, al 51% dei bambini che visitavano i nostri centri è stato diagnosticato un disturbo da stress post-traumatico (PTSD), e un altro 11% è arrivato con enuresi notturna a letto. Per gli adulti, al 31% è stato diagnosticato il disturbo da stress post-traumatico, mentre al 25% è stata diagnosticata la depressione. Durante quei mesi, quasi il 20% delle persone che sono state visitate dalle squadre di crisi sono state inviate ai nostri centri comunitari per ulteriori valutazioni e terapie. Il Fondo d’emergenza per l’infanzia delle Nazioni Unite (UNICEF) ha riferito che più di 370 mila bambini avevano bisogno d’interventi psicosociali. Queste cifre possono prevedere qualcosa per i mesi successivi all’offensiva del 2021?

UNDICI GIORNI.

Ora sappiamo gli effetti fisici: almeno 242 persone sono state uccise a Gaza, tra cui 66 bambini, 38 donne (quattro incinte) e 17 anziani. I feriti sono circa 1.948 persone, cifra iconica per ogni palestinese. Tra questi ci sono 610 minorenni, 398 donne e 102 anziani. 25% dei feriti hanno lesioni moderate o gravi. Durante l’offensiva, 107 mila persone sono state sfollate, di cui circa due terzi hanno cercato rifugio nelle scuole dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’assistenza ed il lavoro (UNRWA).

Abbiamo visto sei ospedali e 11 cliniche danneggiati. Il 17 maggio è stato attaccato il centro di assistenza sanitaria di base di Rimal, situato all’interno del complesso del ministero della Salute (MS) nella città di Gaza. Il centro includeva il laboratorio principale per i test COVID-19 ed è stato parzialmente colpito. Il ministero della Salute ha dovuto interrompere i test e ha chiesto alle persone che avrebbero dovuto ricevere il secondo vaccino di recarsi al centro di assistenza sanitaria primaria di al-Daraj, nella Città di Gaza. Tuttavia, anche quel centro è stato attaccato, poiché nella zona c’era una casa che è stata bombardata da un attacco aereo. Anche la clinica di Rimal era un locale di vaccinazione a Gaza. Fortunatamente, il danno ad entrambe le cliniche è stato parziale e la clinica Rimal ha presto ripreso il servizio. Tuttavia, un giovane medico, il dottor Majed Salha, è stato gravemente ferito alla testa e le sue condizioni sono critiche.

SFIDE IN CORSO PER LA SALUTE MENTALE.

Solo poche settimane fa, il COVID era la principale preoccupazione a Gaza, come in qualsiasi altro luogo al mondo. Le persone che chiamavano la nostra linea di consulenza telefonica al GCMHP, o le persone che incontravamo nella comunità o nei centri comunitari, si presentavano con due lamentele o sfide principali ed interconnesse. Uno di questi problemi era quanto profondamente le condizioni economiche stessero influenzando le loro vite. Il tasso di disoccupazione a Gaza, anche prima dei bombardamenti, era del 43,1 per cento, e per le persone sotto i 30 anni era del 65,5%. Tra coloro che lavorano, molti lo facevano in modo occasionale, giornaliero. I tassisti o coloro che vendono verdura nei mercati sono stati gravemente colpiti dalle restrizioni alla circolazione legate al COVID e da altre misure, come il distanziamento sociale e la chiusura di alcuni di quei mercati aperti. La depressione e l’ansia erano all’ordine del giorno, poiché i capi famiglia non erano in grado di fornire né disinfettanti né cibo per le loro famiglie.

La seconda preoccupazione è sempre stata come prendersi cura dei propri figli con queste restrizioni in corso e con le scuole chiuse. C’è una media di cinque figli per famiglia e viviamo in una delle zone più affollate del mondo, con più di 13 mila persone in 2,6 km quadrati. Questi bambini, a cui non è stato permesso di lasciare le loro case a causa delle restrizioni COVID, avevano un disperato bisogno di sostegno.

Due settimane prima dell’offensiva, il ministero della Salute era alle prese con la seconda ondata di COVID, con circa il 35-40% delle persone sottoposte al test che risultavano positive. Improvvisamente, quelle preoccupazioni legate al COVID sono state oscurate dai timori legati agli attacchi aerei, ai bombardamenti e alla sopravvivenza. In che modo questo influirà sul benessere psicologico della popolazione?

UN’ESPERIENZA SENZA PRECEDENTI.

In una notte, secondo quanto riferito, 160 aerei da guerra hanno attaccato 450 obiettivi in ​​meno di 40 minuti nelle aree settentrionali della Striscia di Gaza. Gli attacchi sono avvenuti nello stesso momento in cui sono stati sparati 500 proiettili d’artiglieria. La gente al di fuori di Gaza ci ha chiesto se questa esperienza fosse simile a quella del 2008, quando ha avuto luogo il primo attacco. Sabato 27 dicembre 2008, intorno alle 11:20, improvvisamente le persone in tutta la Striscia di Gaza furono sopraffatte dai suoni dei bombardamenti e dalla vista di un’enorme nuvola di fumo simile ad un fungo. Era un orario in cui i bambini andavano a scuola, per il turno pomeridiano, o tornavano da scuola, per il turno mattutino, e tutti erano davvero in uno stato di shock. In quel momento, circa 60 aerei da combattimento effettuarono il primo attacco in meno di un minuto. La gente ci ha chiesto se quest’offensiva sia stata la stessa cosa. Forse sembra uguale, ma c’è una differenza fondamentale.

Nel 2008, l’aggressione è durata un minuto o due, e ha colpito tutta la Striscia di Gaza (140 miglia quadrate). Ma quello che è successo in questi 11 giorni è completamente diverso. Gli attacchi sono continuati per circa 25-30 minuti, o talvolta fino a 40 minuti, ristretti nella stessa città o area geografica. Si sentivano i bombardamenti continui nella propria città, in quella piccola area geografica, che sono andati avanti per circa 25-40 minuti. In tutto questo tempo, né tu, né i tuoi figli, né tua moglie, né nessun altro membro della famiglia riuscivate a respirare normalmente.

I bombardamenti costanti, che sono continuati in diverse città e in notti diverse, hanno fatto sì che nessuno riuscisse davvero a sentirsi al sicuro. Tutti noi siamo rimasti al massimo livello di allarme per 25, 40 minuti. Posso dire che questa è l’esperienza più spaventosa che ho avuto durante quattro grandi offensive nel corso degli anni.

Questo tipo di attacco ha causato estrema paura alla popolazione di due milioni di persone, traumatizzando quasi tutti.

Un’altra differenza fondamentale da tenere in conto è che la maggior parte delle aree attaccate si trovava nel cuore delle città. Abbiamo assistito all’abbattimento di torri di 13 o 14 piani e di molti altri edifici. Alcune famiglie sono state semplicemente cancellate durante quegli attacchi. Nel campo di al-Shati una famiglia è stata attaccata, uccidendo 10 persone, tra cui otto bambini e due donne. Quattordici famiglie hanno perso più di tre membri e alcuni di loro sono stati uccisi sul colpo.

La paura ed il terrore con cui abbiamo vissuto durante gli 11 giorni sono stati qualcosa senza precedenti. Quindi, [rispondendo alla domanda se] ci aspettiamo di vedere più persone e con una diagnosi simile al 2014, o 2012 o 2008? Forse, ma sicuramente il minor numero di persone uccise o ferite non indica un minore impatto psicologico sulla popolazione. Vediamo già bambini che si presentano con incubi notturni e dolori alle ginocchia e all’addome, e i genitori riferiscono di figli e figlie che si aggrappano a loro. Sia gli uomini che le donne lamentano dolori articolari, lombalgia e difficoltà di concentrazione. Molti dicono che non sono sicuri se stanno vivendo un lungo sogno o la realtà. E le persone più colpite mostrano un grave impatto psicologico, compresi sintomi dissociativi. In ogni caso, siamo ancora agli inizi e avremo bisogno di più tempo per capirne meglio l’impatto.

Si potrebbe pensare che questa sarà la nostra unica preoccupazione, ma non è così. Nei primi giorni dopo la ripresa del cessate il fuoco, sono stati effettuati solo poche centinaia di test per il COVID, ma in media un terzo dei risultati è positivo. Decine di migliaia di persone sono state sfollate e sono rimaste nelle aule delle scuole o nelle case dei loro parenti, rendendo inevitabile l’affollamento dell’intera comunità in posti chiusi. Come potrete immaginare, le misure COVID non sono state rispettate.

I nostri ospedali sono già pieni di feriti, il sistema sanitario è in difficoltà. E sembra che siamo sull’orlo di una terza ondata di COVID. Un’ondata in cui dei due milioni di persone, solo 40 mila sono state vaccinate. Siamo appena sfuggiti all’inferno degli attacchi aerei per trovare l’inferno del COVID-19 alle nostre porte. Stiamo passando dalla vita sotto occupazione e offensiva alla vita sotto occupazione e lockdown, con il COVID.

La nostra è una vita che non comprenderai mai a meno che tu non risieda a Gaza. Gli estranei amano chiamarci esseri umani resilienti, piuttosto che vedere la nostra realtà. Come scrisse il poeta inglese T. S. Eliot nel 1936, “L’umanità non può sopportare molto la realtà”.

Traduzione per InfoPal di F.H.L.