‘Legge sui combattenti illegali’: una riflessione e un appello per annullarla

‘Legge sui combattenti illegali’: una riflessione e un appello per annullarla

A cura di Elisa Gennaro

Di ‘Abdel Nasser Farawna*. 6 giugno 2012.

Gaza. ‘Abdel Nasser Farawna, ricercatore sulla questione dei prigionieri palestinesi, a sua volta ex detenuto, scrive per fare chiarezza sul significato delle detenzioni di “combattenti illegali”, e lo fa per ricordare il caso di Mahmoud Kamal Mohammed as-Sarsak, al 3° mese di sciopero della fame contro la propria detenzione illegale, ingiustificata e motivata da Israele, appunto, con il ricorso al regime dei “combattenti illegali”.

As-Sarsak proviene dal campo profughi di Rafah, a sud della Striscia di Gaza; fu arrestato da Israele a Beit Hanoun (Erez) il 22 luglio 2009 mentre viaggiava per prendere parte ai Giochi Olimpici in qualità di calciatore della nazionale palestinese. Da allora Mahmoud è detenuto da Israele, senz’accusa, né processo.

A un mese dal suo arresto – era il 23 agosto – le autorità d’occupazione israeliane posero as-Sarsak sotto lo status di combattente illegale, sottraendosi in tal modo al dovere di fornire qualsiasi informazione sulla sua detenzione, mentre al detenuto si vietava qualunque contatto con la famiglia.

Ma già da metà 2007 Israele applicava il divieto sul diritto di visita ai familiari di tutti i detenuti provenienti da Gaza.

A marzo scorso, Mahmoud ha deciso di avviare lo sciopero della fame contro la sua condizione, quella di detenzione illegale e si rifiuta di accogliere lo status di combattente illegale, condizione detentiva del tutto simile a quell’amministrativa, vale a dire priva di fondamento legale, di termini di giudizio o di appello.

Oggi Mahmoud è al 3° mese di sciopero e per questo rischia di morire.

Sulla base dei propri dati, l’amministrazione carceraria israeliana sostiene che Mahmoud sia l’unico combattente illegale, ma su questo noi oggi vorremmo fare chiarezza, perché non è affatto così.

Il trattamento dei cosiddetti “combattenti illegali” è una realtà che ha ricevuto scarsa attenzione dalle organizzazioni per i Diritti Umani. Si conosce il caso dei soldati libanesi Moustafa ad-Dirani e Shaykh ‘Abdel Karim ‘Obeid, rilasciati nel 2004, e si sa che lo stesso trattamento viene riservato ai detenuti provenienti da Gaza.

Quando è stata emanata la legge sui “combattenti illegali” in Israele? Qual è la sua funzione? Cosa ha indotto Israele a pensare ad una legge di questo tipo e perchè la applica nei confronti di questi detenuti palestinesi?
Nel suo studio, Farawna cita dei precedenti giudiziari.
I due libanesi di cui sopra – ad-Dirani e ‘Obeid – furono fatti prigionieri oggetto di scambio per il rilascio di soldati israeliani.
Nel 2000 l’Alta corte israeliana si pronunciò contro la loro detenzione ai fini di scambio, ma in quella stessa occasione, l’autorità giudiziaria non emise nessun’altra decisione; quella per il loro rilascio, ad esempio.

L’approvazione della legge sui combattenti illegali giunse alla Knesset, il parlamento israeliano, nel marzo 2002, esattamente con l’obiettivo di mettere Israele nella condizione di non fornire alcuna giustificazione circa il protarsi della detenzione dei due libanesi, detenuti senz’accusa, né processo.

Poco prima di essere rilasciati, nel 2003, diversi appelli per l’abolizione della decisione e della legge in questione furono presentati dai legali. Il tribunale allora non si pronunciò in merito, rimandando la questione a dopo il loro rilascio, avvenuto nel 2004 con uno scambio di prigionieri con Hezbollah.
Una volta liberati, il tribunale sostenne che le istanze di appello presentavano ogni ragionevole presupposto per essere accolte, ma che tuttavia la questione era ormai sfumata giacché non vi era più nessun detenuto in quello status. Ciò significava che il problema della validità/legalità di questa legge non si poneva più.

Secondo il parere di Farawne, quell’episodio giudiziario fu comunque importante perché, essendoci stato un riconoscimento della giustezza degli appelli da parte della corte, molti palestinesi di Gaza poterono presentare altri ricorsi.

Qual è la definizione di combattenti illegali? Viene definito combattente illegale un soggetto che prende parte alle ostilità contro lo Stato di Israele, direttamente o indirettamente. Il combattente illegale non è però configurabile come un prigioniero di guerra ai sensi dell’art.4 della III Convenzione di Ginevra (12 agosto 1949) sui prigionieri di guerra.
Lasciando quindi questi detenuti al di fuori dello status di prigionìa così come disciplinato a Ginevra, Israele è libero di non garantire loro alcuna protezione prevista dal diritto umanitario internazionale, e, su un livello giudiziario, può detenerli all’infinito.
In base alla legge sui combattenti illegali, un capo dell’esercito israeliano può rilasciare un ordine di cattura e di detenzione se ritiene che il soggetto in questione sia un combattente “illegale” e similmente, egli può sollevare davanti alla corte competente, quella centrale di al-Quds (Gerusalemme), ogni segretezza delle prove.

La legge sui “combattenti illegali” nel contesto internazionale. Precedenti storici. La legge israeliana del combattente illegale è una grave violazione al diritto internazionale – diritti umani e diritto umanitario –  in cui si prescrivono le modalità con cui condurre l’arresto, si regolamentano i luoghi di detenzione, si elencano i diritti del detenuto, si dispone la sua protezione e la garanzia di un giusto processo, impedendo che un detenuto resti al di fuori di qualunque logica legale con la negazione della difesa o della notifica dell’accusa che lo riguarda.
La sua configurazione risale agli anni ’40, quando la legge sui combattenti illegali venne presa in considerazione dall’Alta corte statunitense – erano gli anni della II Guerra Mondiale. Pur ammettendone l’applicabilità in alcuni specifici casi, la stragrande maggioranza dei giuristi americani si rifiutò di adottarla e non lo riconobbe uno strumento legale.

Per restare in America, nel marzo 2009 il presidente Obama fece decadere la legge dei “combattenti nemici” o “dei combattenti illegali” nei confronti dei detenuti di Guantanamo e ripristinò la legge internazionale sul trattamento dei prigionieri.

La legge sui “combattenti illegali”: strumento avulso dalla legalità. Considerato che i tribuali israeliani prendono in esame i casi sui combattenti illegali, si potrebbe pensare all’esistenza di un quadro legale, quello della Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra ad esempio, in cui si disciplinano i loro diritti.
La realtà israeliana è però un’altra; è la logica dei combattenti illegali affidati al lavoro dei tribunali militari, privati di qualunque diritto di cui alla III Convenzione di Ginevra sui prigionieri di guerra e alla IV sulla protezione di civili in tempo di guerra.
L’elenco di violazioni israeliane alle due Convenzioni è interminabile.

Prigionieri di guerra o combattenti illegali, anche l’Assemblea Generale Onu, con la risoluzione 43/173 del dicembre 1988 chiedeva garanzie per l’umanità e il rispetto per la dignità della persona umana nel trattamento delle “persone sotto detenzione”.
Il supporto giudiziario (i tribunali) in Israele forniscono una copertura legale alle violazioni e ai crimini commessi contro questi prigionieri.

Perché le autorità d’occupazione ricorrono alla legge sui combattenti illegali? La risposta è semplice; in Israele non esiste una legge che disciplina il trattamento dei detenuti e, di fronte al vuoto legislativo che dimostra un fallimento in materia, Israele ha optato per questa legge.
Essa si caratterizza per il mantenimento del segreto sulle “prove” dell’Intelligence, e ad essa si ricorre anche nei casi in cui un detenuto abbia scontato la pena detentiva. In Israele si riconosce la possibilità di applicare la legge sui combattenti illegali alla scadenza della pena, similmente a quanto si può fare alla scadenza di una detenzione amministrativa.

Chi sono i detenuti palestinesi sottoposti alla legge sui combattenti illegali?

Abbiamo già scritto che la legge sui combattenti illegali risale al 2002. Essa ha riguardato la persona di Shaykh ‘Abdel Karim ‘Obeid, catturato da Israele in Libano nel 1989 e Moustafa ad-Dirani, sequestrati nel 1994. Entrambi furono rilasciati il 29 gennaio 2004 nell’ambito di uno scambio di prigionieri tra Israele ed Hezbollah.

Dal 2005, anno in cui si decise il ritiro dalla Striscia di Gaza, Israele cominciò ad applicare la legge sui combattenti illegali ai palestinesi di Gaza che a quel tempo si trovavano in detenzione amministrativa.

Così, anziché essere liberati, gli status di Riyad Sa’adi ‘Eiyad, catturato nel 2002, Hassan Mas’ud ‘Eiyad, arrestato nel 2003, e altri tre detenuti amministrativi di Gaza, furono convertiti in quello di “combattenti illegali”. La decisione derivava da un Ordine Militare emesso da un capo dello Stato maggiore dell’esercito israeliano.
Nasser Mas’ud ‘Eiyad, 42 anni, fratello di Hassan, veniva rilasciato nel 2001 dalla prigione di Nafha. A poche ore dal rilascio, sulla strada verso il valico di Erez, Israele lo riarrestò.
La famiglia era pronta ad attenderlo sul valico di frontiera. Da lì fu portato nel carcere del Negev perché “era una minaccia per la sicurezza di Israele” e, per motivarne la ripresa della detenzione, nei suoi confronti fu applicata la legge sui combattenti illegali.
Tre di questi detenuti furono liberati nell’agosto del 2009.

Un altro caso risale al 25 marzo 2009, quando la corte centrale di Gerusalemme convertì la detenzione di Khalid Ali Salem Sa’id, palestinese di Gaza, in status di combattente illegale.

Questa legge viene usata da Israele ancora oggi per giustificare le detenzioni dei palestinesi di Gaza e per condurre arresti di massa sottraendosi al dovere di rispettare i diritti e di osservare le procedure amministrative e giudiziarie previste nelle detenzioni.

La guerra israeliana su Gaza e i suoi “combattenti illegali”. Dall’inizio dell’offensiva israeliana su Gaza, nel dicembre del 2008, Israele non fece mistero di voler ricorrere a questa legge nei confronti dei detenuti di Gaza, negando loro qualunque tutela umana come disposto dalla Convenzione di Ginevra.
Ma non ci sarebbe stata nemmeno una cooperazione con il Comitato Internazionale della Croce Rossa, né con le realtà per i Diritti Umani o con l’Autorità palestinese (Anp). Nessuna informazione sul loro numero, sulle loro condizioni o suoi luoghi di detenzione.
A decine furono portati nel carcere del Negev e a nessuno fu dato di incontrarli. “Essi restano di esclusiva competenza dello Shin Bet, l’Intelligence interna israeliana, e dell’esercito di Israele. Essi sono ‘combattenti illegali’ e non è dato comunicare con loro”, dicevano in Israele.

Detenzioni amministrative e regime dei “combattenti illegali”. I due sistemi di detenzione usati da Israele si assomigliano molto. Sono accomunati dalla segretezza delle informazioni e dai lunghi tempi di detenzioni senz’accusa.
Eppure esistono alcune differenze.
La detenzione amministrativa è uno strumento che gode di legittimità costituzionale. E’ prevista anche dal diritto internazionale che interviene nel disciplinarne le limitazioni e ne circoscrive il campo di applicazione.
La stessa Convenzione di Ginevra ad esempio, richiede di specificare il termine della detenzione da un mese ad un anno alla scadenza del primo termine. Per le disposizioni internazionali inoltre, è importante che i prigionieri siano portati davanti a un giudice.

La legge sui “combattenti illegali”, invece, non gode di legittimità costituzionale poiché essa nega ogni diritto al detenuto che non avrà la possibilità di adire contro una violazione alla legge internazionale, né contro il discutibile periodo di detenzione. In Israele, nonostante intervenga la corte (che pronunciandosi su questi casi si fa complice del provvedimento illegale), il detenuto resta in prigione senza sapere fino a quando. Egli sarà fatto oggetto dei capricci dell’Intelligene e del dibattito politico.

L’unico termine di riferimento che si conosce in materia in Israele è la disposizione che un giudice può adottare nell’estensione della detenzione ogni sei mesi.

Detenzioni amministrative in Cisgiordania e “legge sui combattenti illegali” a Gaza: due facce della stessa medaglia. Con l’Ordine militare del 12 settembre 2005, a Gaza venne estesa l’applicazione di questa nuova legge.
Identica legge fu applicata in Cisgiordania con la denominazione di “detenzione amministrativa”.

Mahmoud as-Sarsak in ospedale.

Se le differenze sono fatte prettamente in via definitoria, nella pratica i due strumenti di detenzione sono identici. Ciò che conta è la violazione alla legalità internazionale che entrambe le misure generano.
Con il ricorso ad entrambe le misure non ci potrà essere alcun processo per i palestinesi, ma nemmeno per i numerosi arabi detenuti nelle prigioni israeliane. Entrambi i metodi si caratterizzano per le lunghe detenzioni, per segretezza e inaccessibilità alle informazioni per legali e organizzazioni per i diritti umani.

A conclusione del suo lavoro, Farawna pone una domanda alle organizzazioni per i Diritti Umani: “Fatta chiarezza su questa questione, pensate ancora di aver lavorato come di dovere? Si sarà in grado di estirpare il problema alla sua radice? Aldilà di quale possa essere la risposta, credo che questi quesiti resteranno ancora sul loro tavolo di lavoro”.

'Abdel Nasser Farawna, autore della presente ricerca.

 

* ‘Abdel Nasser Farawna:  ex detenuto, ricercatore specialista negli affari delle detenzioni in Israele, alla direzione dell’Ufficio statistico del ministero per i Prigionieri dell’Autorità palestinese (Anp). Farawna è anche membro del Comitato della Striscia di Gaza.

www.palestinebehindbars.org

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