Luisa Morgantini: UE debole.

Care tutte e tutti,
 
di seguito troverete un’intervista uscita oggi su Liberazione, un’intervista a Marwan Barghouti e l’ansa del comunicato stampa sulla chiusura del valico di Rafah.
 
Un abbraccio
 
Luisa Morgantini

INTERVISTA A LUISA MORGANTINI TRATTA DA LIBERAZIONE DEL 22 GIUGNO 2006

Morgantini: Ue debole.

Peretz dovrebbe dimettersi

«Sbloccare subito gli aiuti» Francesca Marretta

«Quando si formò il governo israeliano dopo le elezioni di marzo e si fece il nome di Peretz come ministro della difesa invece che degli affari sociali come da indicazioni della sua campagna elettorale, pensai: ecco, i giochi sono fatti. Faranno lo stesso gioco sporco degli altri governi con i laburisti alla difesa. I fatti di questi giorni rimandano la memoria al massacro di Kana in Libano, ordinato da un altro laburista, Shimon Peres (attuale vicepremier israeliano, ndr)». Al telefono da Vienna Luisa Morgantini, parlamentare europea indipendente eletta nelle liste di Rifondazione Comunista, stenta a credere che mentre parliamo arriva la notizia dell’ennesimo raid israeliano su Gaza con vittime civili, come gli altri.

«Sono pazzi», sospira l’eurodeputata, che, commentando la richiesta di dimissioni del ministro della difesa israeliano da parte dei membri arabo-israeliani della Knesset, aggiunge: «Sarebbe davvero il minimo che si dimettesse. A Tel Aviv in occasione delle commemorazioni per l’assassinio di Rabin (5 novembre, ndr) aveva detto che l’occupazione era un’"onta morale" per Isreale. Se n’è dimenticato in fretta».

Quanto ha sulla coscienza l’Unione europea per quello che accade oggi nei territori palestinesi?

L’Unione europea, come la comunità internazionale, ha una grande responsabilità. L’Ue è estremamente debole nella sua politica estera ed è complice delle politiche del governo israeliano e degli Stati Uniti. Si tratta di una timidezza storica nei confronti di Israele. Un paese che ruba fondi non consegnando ai palestinesi le proprie rimesse. Che oltre a bloccare nei suoi porti e ai valichi gli aiuti dell’Unrwa, lucra sullo stoccaggio forzato nei suoi porti. Comunque è debole anche la società civile, il mondo dell’associazionismo, i partiti. Di fronte a questo massacro operato dal governo Olmert, che si permette di respingere l’ipotesi di una commissione d’inchiesta internazionale sulla strage della spiaggia, non c’è stata una sollevazione adeguata. Bisognerebbe prendere esempio dalle voci di dissenso nella società israeliana, che dice con chiarezza che la salvezza di Israele è la fine dell’occupazione, non le uccisioni preventive.

E qual è la salvezza dei palestinesi da sé stessi?

Il rischio di guerra civile, se è a questo che ti riferisci, c’è davvero. Io mi auguro che il tentativo di dialogo tra Hamas e Fatah dia dei risultati positivi e si trovi il modo di evitare un referendum lacerante per la società. Personalmente il quesito che mi pongo non è perché i palestinesi si ammazzino tra di loro, ma come mai dopo tanti anni di occupazione la maggior parte di loro continui a resistere pacificamente. Chi imbraccia le armi non è una parte prevalente.

Quanto fa comodo a Fatah l’isolamento internazionale di Hamas, che di fatto ne impedisce l’azione di governo?

E’ chiaro che qualunque partito che, avendo storicamente governato un paese, perda le elezioni, miri a tornare al potere. Ma Fatah quando ha perso le elezioni ha lasciato ad Hamas il suo posto, pur trattandosi di un partito non laico, che per giunta non faceva parte dell’Olp. Credo che alla fine prevarrà l’interesse comune del popolo palestinese. Anche su questo il ruolo dell’Unione europea è determinante. L’Ue non può ignorare che la questione dello sblocco degli aiuti ai palestinesi sia politica. Io ho chiesto al parlamento europeo di avere il coraggio di aprire un dialogo col partito al potere in Palestina, con un Anp che non è solamente Abbas. Non dimentichiamo che Hamas ha mantenuto la tregua per 18 mesi. Occorre chiedere anche a Israele, come lo si fa coi palestinesi, di imporre un cessate il fuoco. Questo devono fare le mobilitazioni civili dei nostri paesi. Chiedere con forza che si riavvii un negoziato per giungere alla soluzione dei due popoli per due Stati.

INTERVISTA A MARWAN BARGHOUTI DA LIBERAZIONE DEL 22 GIUGNO 2006

Barghouti: «Dalle prigioni un piano strategico per tutti»

Il leader palestinese, detenuto in un carcere israeliano dal 2002, spiega com’è nato e quale obiettivo si prefigge il "documento dei prigionieri": «Ci sono volute settimane di discussione, crediamo sia un risultato storico»

L’intervista che segue è tratta da "Bitterlemons" (www.bitterlemons.org), un sito web dedicato al conflitto israelo-palestinese e al processo di pace e che presenta i punti di vista palestinese e israeliano sui maggiori temi di dibattito. Il sito è diretto da Ghassan Khatib, ex ministro del lavoro nell’Anp, e da Yossi Alpher, scrittore israeliano ed esperto di studi strategici.

Il documento dei prigionieri è un’iniziativa voluta da rappresentanti di tutte le fazioni palestinesi nelle prigioni israeliane. Com’è successo?

Il documento è scaturito come reazione al deterioramento testimoniato nell’arena palestinese e ai pericolosi segnali di tensioni interne. E’ derivato da un profondo senso di preoccupazione che la situazione finisca fuori controllo. E’ derivato anche dalla stretta dell’assedio al popolo palestinese. L’idea è di concertare un documento che costituisca un comune denominatore per tutte le forze politiche; un lavoro difficile nel contesto palestinese perché la maggioranza di queste forze sono trincerate dietro i loro programmi e non sono abituate ad avere un programma comune. Abbiamo sentito che i tempi erano maturi per formulare una strategia palestinese congiunta. Ci sono volute settimane di discussioni prima di essere d’accordo su questa iniziativa e sulla sua forma attuale. Crediamo che questo sia un documento storico che sarà d’aiuto a tutti, se adottato, per unificare i loro programmi politici e per allontanare lo spettro della guerra civile che minaccia il nostro popolo. Speriamo che il documento sarà anche una breccia nel muro dell’assedio opprimente che stiamo soffrendo.

Si parla molto del fatto che il documento punta alla costituzione di uno Stato palestinese entro i confini del 1967, che costituisce un implicito riconoscimento di Israele e per questo Hamas vi si sta opponendo. E’ in questo modo che il documento deve essere letto?

Le forze palestinesi per molti anni, ma specialmente dopo lo scoppio dell’Intifada di Al Aqsa, sono state d’accordo che lo scopo del popolo palestinese è quello di costituire uno Stato con piena sovranità su tutti i territori occupati da Israele nel 1967. Il riconoscimento tra l’Olp e Israele avvenne 16 anni fa e il documento non ha niente a che vedere con questo. Le leadership di Hamas e della Jihad islamica nelle prigioni hanno partecipato concretamente alla stesura di questo documento. Lo hanno firmato e continuano a sostenerlo nonostante l’opposizione di alcuni tra i leader di Hamas e della Jihad islamica fuori dalle prigioni. Credo che questa opposizione sia avventata e derivi dalla manc
anza della dovuta considerazione. Una lettura attenta del documento potrebbe chiarire che si tratta di una dichiarazione di elementi costanti nazionali, unità nazionale e partnership politiche. Riguarda denominatori comuni e non si fa promotore delle posizioni di una parte sola. Non è il programma con cui è stato eletto il presidente Mahmoud Abbas, né quello di Hamas. E’ piuttosto un programma unificato e un piano strategico per tutti. Tutte le parti devono imparare a coesistere alla luce dei loro differenti programmi, ma dovrebbero farlo all’interno del contesto di un solo ed unificato piano e visione strategica. Sono fiducioso che i leader di Hamas e della Jihad islamica alla fine aderiranno a questo documento.

Ma Hamas e i firmatari islamici hanno ritirato il loro appoggio. Cosa è successo?

Le leadership di Hamas e della Jihad islamica nelle prigioni hanno partecipato concretamente alla stesura di questo documento e siamo in contatto costante, permanente e quotidiano. La prigione di Hadarim racchiude molte figure leader di differenti forze politiche palestinesi e noi siamo in continuo contatto e ci consultiamo anche con i leader di altre prigioni. Questo continuo dialogo e queste consultazioni hanno reso più facile il compito di scrivere il documento, perché abbiamo avuto una comprensione reciproca e un’assoluta fiducia gli uni negli altri. Siamo riuniti tutti nelle trincee della lotta e della resistenza. Non si tratta di un dibattito frivolo o bizantino; è un dialogo responsabile. I leader di Hamas e della Jihad Islamica che hanno firmato il documento sono simboli riconosciuti della lotta. Hanno rifiutato il referendum, ma continuano ad aderire al documento.

I prigionieri si aspettavano che il documento avesse l’importanza che ha?

I prigionieri speravano che il documento potesse godere di sostegno e che fosse ben accolto, ma l’appoggio è stato aldilà delle loro aspettative.

Approvi la decisione del presidente Mahmoud Abbas, Abu Mazen, di sottoporre il documento a referendum popolare, a prescindere dalle posizioni di Hamas e del governo palestinese?

Il documento vuole raggiungere una riconciliazione. Lo abbiamo chiamato Il Documento di Riconciliazione nazionale e la riconciliazione avviene attraverso il dialogo, che dovrebbe essere alle base per l’adozione del documento. Crediamo che la conferenza di dialogo nazionale è stata saggia ad adottare il documento; inoltre la decisione del presidente Abu Mazen di adottare e sostenere il documento è stata molto apprezzata dai prigionieri in tutte le prigioni. Abbiamo fiducia che ci sia ancora una buona opportunità per raggiungere un accordo sul documento attraverso il dialogo, che è una priorità per tutti.

Alcune fazioni, incluso Hamas e il Fplp, dicono che ogni referendum dovrebbe coinvolgere tutti i palestinesi, compresi quelli fuori dalla Palestina. Sei d’accordo?

Lo abbiamo sempre sostenuto. Infatti, è menzionato in una delle clausole del documento che ogni decisione importante dovrebbe essere presa con la partecipazione di tutto il nostro popolo, sia in patria che in esilio.

Il documento è stato concepito per promuovere una riconciliazione nazionale ma sembra che abbia seminato ulteriore discordia. Cosa pensi di questi sviluppi e come possono i palestinesi evitare altre divisioni?

Questo documento può lanciare un processo palestinese unificato. Può attivare istituzioni unificate, per proteggere l’esperienza democratica e consolidare il ruolo della legge ed offrire soluzioni per importanti temi strategici. Il documento apre le porte ad una soluzione per la questione delle Istituzioni dell’Olp e permette ad Hamas e alla Jihad islamica di unirsi sulla base del fatto che l’Olp è il legittimo ed unico rappresentante del nostro popolo, ovunque esso sia. Rafforzare e ristrutturare l’Olp è una necessità nazionale. Questo documento apre anche le porte alla formazione di un governo di unità nazionale.

(Traduzione di Francesca Cutarelli)

Marwan Barghouti è membro del Parlamento Palestinese, eletto con Fatah. Dal 2002 è detenuto in una prigione israeliana.

 

MO: MORGANTINI (PRC), UE ESIGA ACCESSO OSSERVATORI A RAFAH ZCZC0528/SXB @ES67426 R EST S0B ST1 S91 R46 QBXB MO: MORGANTINI (PRC), UE ESIGA ACCESSO OSSERVATORI A RAFAH (ANSA) – BRUXELLES, 21 GIU – L’Unione Europea ha ”il diritto-dovere di intimare ad Israele il libero accesso agli osservatori europei” al valico di Rafah. Lo ha affermato l’europarlamentare del Prc Luisa Morgantini, presidente della commissione Sviluppo, sottolineando che l’Ue deve anche sollecitare il rispetto degli accordi firmati dalle parti, nonche’ il cessate il fuoco da parte israeliana, ”cosi’ come lo chiede alla parte palestinese, peraltro gia’ applicato dall’Anp”. ”Gli osservatori europei che hanno la responsabilita’ del valico sulla base dell’accordo raggiunto lo scorso anno tra Israele, Anp e Ue, in seguito al ritiro unilaterale israeliano, questa mattina non hanno potuto raggiungere Rafah perch‚ il varco israeliano e’ stato chiuso”, ha spiegato Morgantini. ”La chiusura del valico di Rafah, unico sbocco verso il mondo esterno dalla striscia di Gaza, dimostra chiaramente – ha concluso l’europarlamentare – che il popolo palestinese continua ad essere alla merce’ delle decisioni unilaterali del governo israeliano e ad essere rinchiuso in gabbia da un padrone crudele che, a seconda dei suoi umori, butta cibo”. (ANSA). CLG 21-GIU-06 18:56 NNN


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