Operazione Ciclone Al-Aqsa, cosa è successo il “giorno prima” delle rivolte

InfoPal. Di Lorenzo Poli. Ogni giorno un palestinese si alza e sa che deve resistere per far valere i suoi diritti e i diritti della sua terra che da ben 80 anni sono considerati terra nullius dal colonialismo occupante israeliano. Ogni giorno, nel silenzio totale dei media mainstream, i palestinesi subiscono soprusi di ogni tipo: dallo sradicamento delle loro coltivazioni di olivi per azzerare le entrate economiche delle famiglie, dalle abitazioni rase al suolo dai caterpillar israeliani, dagli insediamenti illegali dei coloni israeliani che continuano ad affiorare, dal regime di apartheid e controllo con strumenti biometrici dei palestinesi, dalla profanazione dei luoghi di culto che gli ebrei usano come loro giardino di casa, dalla violazione totale della libertà religiosa, dal razzismo sistematico dei coloni nei confronti degli arabi, dall’appropriazione culturale che Israele fa con la cultura palestinese per cancellarla dalla storia e dalla violazione totale di Israele del diritto internazionale in barba a qualsiasi richiamo dell’ONU.

Tutto questo negli ultimi 80 anni, ogni giorno della vita di ogni palestinese. Per non parlare degli attacchi militari, dello sterminio sistematico del popolo palestinese, delle violenze dell’Israel Defense Force (IDF) e dell’Israel Occupation Force (IOF) su uomini, donne e bambini.

Questo è il prodotto del colonialismo e del razzismo israeliano che fin dal 1948, con la Nakba, ha sterminato un popolo costringendolo in parte alla diaspora. Intere generazioni di palestinesi sono nati e morti sotto le bombe israeliane a causa di questo regime d’apartheid razzista. 

Dal 7 ottobre 2023, la Resistenza Palestinese a Gaza ha lanciato un duro attacco contro Israele: l’Operazione Ciclone al-Aqsa. Fonti della Resistenza affermano che l’attacco coordinato è “una risposta alla violenza dell’esercito israeliano e dei coloni in Cisgiordania e all’uccisione di un gran numero di bambini”. Dopo le risposte della Resistenza palestinese ai continui soprusi israeliani, i media mainstream occidentali hanno riscoperto l’esistenza del conflitto israelo-palestinese e ne parlano fuori da ogni logica storica e contestuale, come se nulla fosse successo prima. Come direbbe qualcuno che con la propaganda aveva a che fare – il nazista Gobbels – bisogna dire mezze verità per affermare grandi bugie. Basta guardare a cosa è successo il giorno prima, il 6 ottobre, per capire l’apice a cui si è arrivati.

Il 6 ottobre decine di studentesse palestinesi sono rimaste soffocate a causa del bombardamento della loro scuola con gas lacrimogeni durante l’assalto delle forze di occupazione (IOF) alla cittadina di As-Samu, a sud di Hebron/al-Khalil, nel sud della Cisgiordania. La Direzione dell’Istruzione nel sud di Hebron ha denunciato l’assalto delle IOF e il lancio di gas lacrimogeni contro la scuola secondaria femminile. La direzione ha confermato: “Diverse studentesse con problemi respiratori sono state trasferite all’ospedale governativo di Yatta e ai centri medici vicini per ricevere cure”. Il 5 ottobre, invece, due palestinesi sono stati uccisi quando le forze di occupazione israeliane (IOF) hanno aperto il fuoco contro un veicolo palestinese vicino al villaggio di Shufa, nel sud-est di Tulkarem. I soldati israeliani hanno bombardato di proiettili l’auto che trasportava due palestinesi, Abdul Rahman Fares Muhammad Atta (23 anni) e Hudhayfah Adnan Muhammad Fares (27 anni), ferendoli gravemente. I giovani sono stati successivamente dichiarati morti. Da questi eventi i combattenti della Resistenza palestinese hanno intensificato le loro attività di resistenza in diverse aree della Cisgiordania in risposta alle ripetute violazioni israeliane e agli attacchi dei coloni contro il popolo, le terre e i luoghi santi palestinesi. All’alba, i combattenti della resistenza delle Brigate al-Qassam di Hamas hanno aperto intensamente il fuoco contro le forze israeliane infiltrate nel campo profughi di Tulkarem e hanno fatto esplodere ordigni esplosivi artigianali contro i loro veicoli. Nei giorni prima, un giovane palestinese di 19 anni, Mohammad Labib Dhamidi, era stato ucciso in un attacco di coloni nella città occupata di Huwwara, nel distretto di Nablus, in Cisgiordania.

Dhamidi, morto poi all’ospedale Rafidiya per le ferite al petto, è stato il quarto palestinese ad essere ucciso dai colpi di arma da fuoco israeliani in quelle 24 ore. Altre 25 persone hanno subito l’inalazione di gas lacrimogeno durante l’attacco, tra cui 4 bambini. Negli ultimi mesi, Huwwara è teatro di numerosi attacchi da parte di coloni israeliani.

Venerdì 6 ottobre la Società dei Prigionieri Palestinesi (PPS) e l’Autorità per gli Affari dei Prigionieri ed ex-Detenuti hanno confermato che 50 prigionieri del carcere israeliano di Rimon sono stati trasferiti arbitrariamente nella prigione di Nafha e, in segno di protesta, hanno dichiarato uno sciopero della fame a tempo indeterminato. Inoltre, il Comitato Nazionale del Movimento dei Prigionieri palestinesi ha annunciato il lancio di iniziative di protesta volte a contrastare le misure repressive adottate contro di loro dal Servizio carcerario israeliano (IPS). Il numero dei prigionieri nelle carceri dell’occupazione, secondo il Club dei Prigionieri palestinesi – un organismo per i diritti umani con sede a Ramallah – è di circa 5.100, tra cui più di 1.200 “detenuti amministrativi”, ovvero detenuti senza accusa.

Oltre a questi episodi di occupazione coloniale e strage, in quei giorni sono avvenuti episodi di crimini d’odio anti-cristiani commessi dai coloni israeliani. A luglio 2023, il presidente israeliano Isaac Herzog ha definito gli attacchi una “vera vergogna”, ma l’ondata di incidenti anti-cristiani non si è attenuata. I critici sostengono che Israele non abbia una risposta all’aumento degli attacchi anti-cristiani perché il Paese stesso è fondato sugli ideali di dominio razziale e sull’obiettivo di preservare la supremazia degli ebrei sui non-ebrei. Parlando giovedì alla radio dell’esercito israeliano, Abu Nasser, il portavoce del Consiglio dei capi delle Chiese cattoliche a Gerusalemme, ha affermato che Papa Francesco è aggiornato su ogni incidente avvenuto nella Gerusalemme occupata ed è stato informato del video virale che mostra i coloni israeliani che sputano sui fedeli cristiani. La pratica degradante e offensiva di sputare sui cristiani, secondo il ministro israeliano Itamar Ben-Gvir, “ è un’antica tradizione ebraica” che i coloni israeliani continuano a difendere

Non dimentichiamoci inoltre il caso di Khaled al-Qaisi, lo studente italo-palestinese dell’Università Sapienza di Roma che mentre era in vacanza a trovare i suoi parenti è stato arrestato da Israele e detenuto dal 31 agosto senza accusa. El Qaisi è comparso davanti a un giudice nelle giornate del 1 settembre, del 7 settembre, del 14 settembre e del 21 settembre, nelle quali, al di là del disporre la proroga dello stato di detenzione (l’ultima volta di 11 giorni), non è stata formulata alcuna imputazione. Israele lo ha detenuto senza alcun motivo. Il 30 settembre sono state organizzate in tutta Italia manifestazioni sotto le sedi RAI (Radio Televisione Italiana) per denunciare l’assenza di informazione sul caso di questo cittadino detenuto illegalmente. Francesca Albanese, Relatore speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, ha scritto su Il Fatto Quotidiano che il fermo di Khaled «desta preoccupazione» sottolineando che «le modalità di arresto e detenzione riportate sinora sembrano violare i diritti di El Qaisi, sollevando anche sospetti di discriminazione razziale».

Questi sono solo alcuni esempi della quotidiana violazione dei diritti umani, dell’apartheid razzista e del colonialismo israeliano a discapito del popolo palestinese, avvenuti nei giorni prima della rivolta. Non si tratta di casi sporadici ma di sistematizzazione della violenza coloniale e razzista del modus operandi dell’IOF, dell’IDF e dello Stato sionista. Eppure, tutto il coro mediatico non parla mai di cosa sia il sionismo e la sua matrice coloniale. Secondo il mainstream il cattivo rimane Hamas, mentre Israele è la vittima; la Palestina “post-Arafat” soffre di radicalizzazione e di “terrorismo islamico”, mentre Israele ha diritto a difendersi sempre e comunque: questo è il dramma del doppio standard internazionale.