Portata d’urgenza in ospedale una prigioniera palestinese in sciopero della fame da 35 giorni

Imemc. Secondo quanto riportato sul sito web +972 Magazine, domenica 27 ottobre, gli attivisti palestinesi e israeliani hanno lanciato una campagna virale chiedendo il rilascio di una cittadina giordana che ha deciso di intraprendere uno sciopero della fame il mese scorso, dopo essere stata incarcerata da Israele e, per giunta, senza processo.

Hiba al-Labadi, una cittadina giordano-palestinese di 24 anni, è stata arrestata dalle forze israeliane il 20 agosto al valico della frontiera di Allenby Bridge mentre, partendo dalla Giordania, si recava con sua madre ad un matrimonio nella città di Jenin in Cisgiordania.

Al-Labadi è in sciopero della fame da ben 35 giorni.

Secondo quanto riportato sul sito web +972 Magazine, domenica 27 ottobre, gli attivisti in Israele hanno lanciato una lunga protesta di 30 ore in Piazza Habima a Tel Aviv, durante la quale diverse donne si sono sedute ammanettate a una sedia all’interno di una scatola trasparente, che avrebbe dovuto ricordare la stanza degli interrogatori di al-Labadi. Tale manifestazione ha fatto sì che i passanti si fermassero e scattassero foto, molti dei quali hanno chiamato la polizia per denunciare una “donna anziana legata a una sedia”. Due agenti sono arrivati sulla scena per verificare la veridicità delle lamentele.

La detenzione amministrativa è una pratica che Israele usa per incarcerare i palestinesi (e occasionalmente alcuni ebrei) a tempo indeterminato, senza accusa o processo. Gli ordini di detenzione amministrativa vengono riesaminati ogni sei mesi, ma i prigionieri non vengono informati di quali crimini vengono accusati o non viene loro mostrata alcuna prova che attesti la loro colpevolezza. E il risultato è questo: è praticamente impossibile difendersi da un ordine di detenzione amministrativa.

Un’ attivista israeliana partecipa a un’azione di protesta contro la detenzione amministrativa di Hiba Al-Labadi, una donna giordano-palestinese che è trattenuta in stato di custodia israeliana senza alcun capo d’accusa dal 27 agosto 2019. (Oren Ziv / Activestills.org)

“Si tratta di una giovane donna che è in prigione da agosto senza alcun tipo di incriminazione e nessuno in Israele ne parla”, ha affermato Sigal Avivi, un importante attivista politico e uno degli organizzatori dell’iniziativa. Secondo Avivi, l’azione degli attivisti è scaturita dopo aver scoperto sia della tortura subita da al-Labadi che delle dure condizioni in cui è detenuta. Avivi ha affermato che l’arresto di al-Labadi è stato anche un’opportunità per rafforzare le proteste contro la pratica della detenzione amministrativa. “Non possiamo più stare in silenzio! Sempre più spesso vediamo Israele usare questo strumento, che viola il diritto internazionale”.

Durante il fine settimana, gli attivisti in Israele hanno lanciato una campagna su Internet che includeva una foto di al-Labadi con la didascalia “Hai sentito parlare di me?” in arabo ed ebraico, per attirare l’attenzione sulla questione della sua detenzione amministrativa. La pagina Facebook in lingua ebraica che fornisce informazioni sul suo arresto e sulla lotta per liberarla è stata condivisa centinaia di volte da quando è stata inaugurata.

Lunedì 4 novembre, Al-Labadi è stata portata davanti alla corte militare di Ofer per l’udienza in merito al suo arresto amministrativo, e gli attivisti avevano pensato di tenere una veglia di protesta fuori dal tribunale.

Sabato 26 ottobre, decine di palestinesi hanno manifestato in via Salah a-Din a Gerusalemme est, chiedendo all’esercito israeliano di rilasciare al-Labadi. Le forze dell’ordine hanno disperso la folla con forza e hanno arrestato due manifestanti, gli agenti invece sono stati filmati mentre gettavano a terra i presenti e si sedevano su di loro durante gli arresti. Il fotografo di Activestills Faiz Abu Rmeleh è stato malmenato da un ufficiale durante le riprese degli scontri.

L’avvocato Juwad Bolous, che ha fatto visita ad al-Labadi durante la detenzione, ha dichiarato che dopo essere arrestata è stata interrogata per 16 giorni di fila senza poter parlare con il suo avvocato. La maggior parte di questi interrogatori è durata ore ed ore, mentre lei era ammanettata e legata a una sedia. Secondo Bolous, gli agenti che l’hanno interrogata hanno imprecato su di lei, sputandole addosso e minacciando addirittura di arrestare sua sorella e sua madre. “È stato utilizzato qualsiasi strumento di tortura e oppressione al fine di estorcerle una confessione incriminante. Nonostante le indagini crudeli e disumane, non ha confessato”, ha scritto Bolous durante il fine settimana.

Al-Labadi respinge le accuse contro di lei, che non sono state rese pubbliche eccetto una dichiarazione dell’agenzia di intelligence Shin Bet, secondo la quale è stata arrestata in “gravi circostanze di sicurezza”. Sempre secondo quest’ultima, è stata incarcerata per aver pubblicato alcuni post sulla sua pagina personale di Facebook a sostegno di Hezbollah e degli attacchi in Cisgiordania.

Secondo quanto riferito da giornalisti palestinesi, al-Labadi è stata trasferita dalla prigione di Jalma in un ospedale di Haifa per essere curata, ma è stata rinchiusa in carcere neanche poco tempo dopo.

Traduzione per InfoPal di Rachele Manna