Stupri, Daesh, Mein Kampf e altre bugie: come Israele ha perso ogni credibilità

Stupri, Daesh, Mein Kampf e altre bugie: come Israele ha perso ogni credibilità

MEMO. Di Ramzy Baroud e Romana Rubeo. Sabato, durante una conferenza stampa, il portavoce militare israeliano Daniel Hagari ha affermato che i militari di Israele avevano ucciso un “terrorista” che impediva a 1.000 civili di fuggire dall’ospedale al-Shifa.

Ma questa affermazione non ha molto senso. Anche per gli standard della propaganda israeliana, falsificare un’informazione del genere senza fornire alcun contesto e alcuna prova, contribuisce ulteriormente al deterioramento della credibilità di Israele nei media internazionali e della sua immagine nel mondo.

Soltanto il giorno prima, un funzionario statunitense, del quale non si conosce il nome, era stato citato dalla CNN per aver affermato, in un dispaccio diplomatico, che “stiamo perdendo pesantemente nella battaglia mediatica”.

Il diplomatico si riferiva alla reputazione americana in Medio Oriente – in realtà, in tutto il mondo – che ora è a brandelli a causa del cieco sostegno americano a Israele.

Ruoli invertiti.

Questa mancanza di credibilità è testimoniata anche dallo stesso Israele. Non solo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sta perdendo credibilità tra gli israeliani, secondo vari sondaggi di opinione, ma anche l’intero establishment politico israeliano sembra perdere la fiducia dei suoi cittadini comuni.

Una battuta che circola tra i palestinesi in questi giorni è che i leader israeliani stanno emulando i leader arabi nelle precedenti guerre arabo-israeliane, in termini di linguaggio, vittorie fasulle e guadagni non dimostrati sul fronte militare.

Ad esempio, mentre Israele respingeva rapidamente le forze armate arabe su tutti i fronti, nel giugno 1967, ovviamente con il pieno appoggio degli Stati Uniti e dell’Occidente, i leader degli eserciti arabi dichiaravano via radio di essere arrivati alle “porte di Tel Aviv”.

Le sorti sembrano essersi invertite. Abu Obaida e Abu Hamza, portavoce militari rispettivamente delle Brigate Al-Qassam e delle Brigate Al-Quds, nelle loro regolari e attesissime dichiarazioni forniscono resoconti molto accurati sulla natura della battaglia e sulle perdite delle forze militari israeliane in avanzata.

L’esercito israeliano, invece, parla di vittorie imminenti, di uccisioni di “terroristi” senza nome e di distruzione di innumerevoli tunnel, ma raramente fornisce prove. L’unica “prova” fornita è quella di aver preso di mira intenzionalmente ospedali, scuole e case di civili.

Inoltre, mentre le dichiarazioni di Abu Obaida sono quasi sempre seguite da video ben prodotti, che documentano la distruzione sistematica dei carri armati israeliani, nessuna documentazione di questo tipo suffraga le rivendicazioni militari israeliane.

Oltre il campo di battaglia

Ma la questione della credibilità israeliana, o meglio, dell’assenza di credibilità, non si svolge solo sul campo di battaglia.

Fin dal primo giorno di guerra, medici palestinesi, operatori della protezione civile, giornalisti, blogger e addirittura persone comuni hanno filmato e registrato ogni crimine di guerra israeliano, ovunque nella Striscia assediata. E, nonostante la continua interruzione di internet e dell’elettricità a Gaza da parte dell’esercito israeliano, in qualche modo i palestinesi hanno tenuto traccia di ogni aspetto del genocidio israeliano in corso.

La precisione della narrazione palestinese ha persino costretto i funzionari statunitensi, che inizialmente dubitavano dei numeri forniti dai palestinesi, ad ammettere finalmente che stavano invece dicendo la verità.

Barbara Leaf, assistente del Segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente, il 9 novembre ha dichiarato ad una commissione della Camera degli Stati Uniti che le vittime di Israele in guerra sono probabilmente “più numerose di quanto viene citato”.

In effetti, ogni giorno Israele perde credibilità, al punto che le menzogne israeliane raccontate inizialmente su quanto avvenuto il 7 ottobre si sono rivelate disastrose per l’immagine complessiva e la credibilità di Israele sulla scena internazionale.

Stupro, Daesh e Mein Kampf.

Nell’euforia di demonizzare la resistenza palestinese – per giustificare l’imminente genocidio di Israele a Gaza – il governo e i militari israeliani, seguiti dai giornalisti e persino dalla gente comune, sono stati tutti reclutati in una campagna di hasbara (propaganda) senza precedenti, volta a dipingere i palestinesi come “animali umani” – secondo le parole pronunciate dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant.

A poche ore dagli eventi del 7 ottobre e prima che fosse condotta qualsiasi indagine, Netanyahu ha parlato di “bambini decapitati”, presumibilmente mutilati per mano della resistenza; quindi Gallant ha affermato che “giovani ragazze sono state violentate”; persino l’ex rabbino capo dell’esercito, Israel Weiss, ha detto di aver “visto una donna incinta con il ventre squarciato e il bambino tirato fuori”.

E anche il presunto “moderato” presidente israeliano Isaac Herzog ha rilasciato dichiarazioni ridicole alla BBC il 12 novembre. Alla domanda che riguardava gli attacchi aerei israeliani su Gaza, Herzog ha affermato che il libro Mein Kampf, scritto da Adolf Hitler nel 1925, è stato trovato “nella cameretta di un bambino” nel nord di Gaza.

E, naturalmente, ci sono stati i ripetuti riferimenti alle bandiere di Daesh che, per qualche strano motivo, sarebbero state portate dai combattenti di Hamas mentre entravano nel sud di Israele il 7 ottobre, oltre ad altre favole.

Il fatto che Daesh sia un nemico giurato di Hamas e che il movimento palestinese abbia fatto tutto il possibile per sradicare qualsiasi possibilità per Daesh di estendere le sue radici nella Striscia di Gaza assediata è sembrato irrilevante per la sgangherata propaganda di Israele.

Come era prevedibile, i media israeliani, statunitensi ed europei hanno ripetuto l’affermazione del legame tra Hamas e Daesh senza alcun dibattito razionale o la minima verifica dei fatti.

Con il tempo, però, le menzogne israeliane non sono più state in grado di resistere alla pressione della verità che proveniva da Gaza, dove ogni atrocità e ogni battaglia vengono documentate, offuscando così le accuse israeliane costruite a tavolino.

Forse, il punto di svolta dell’incessante serie di menzogne israeliane è stato l’attacco all’ospedale battista Al-Ahli nella città di Gaza, il 17 ottobre. Anche se molti hanno adottato, e purtroppo ancora difendono, la menzogna israeliana secondo la quale un razzo della resistenza è caduto sull’ospedale, la pura e semplice violenza di quel massacro, che ha ucciso centinaia di persone, è stata per molti un campanello d’allarme.

Una delle tante domande che sono sorte dopo il massacro dell’ospedale battista è la seguente: “Se Israele fosse stato davvero onesto sulla sua versione dei fatti riguardo a ciò che è avvenuto nell’ospedale, perché avrebbe bombardato tutti gli altri ospedali di Gaza e continua a farlo da settimane?”

VIDEO.

Cancellata la Hasbara israeliana.

Ci sono dei motivi per cui la propaganda israeliana non è più in grado di influenzare efficacemente l’opinione pubblica, nonostante i media mainstream continuino a schierarsi con Israele anche quando quest’ultimo sta commettendo un genocidio.

In primo luogo, i palestinesi e i loro sostenitori sono riusciti a “cancellare” Israele utilizzando i social media che, per la prima volta, hanno sopraffatto le campagne di propaganda organizzate spesso per conto di Israele dai media di regime.

Un’analisi dei contenuti online sui social media più popolari è stata condotta dalla piattaforma israeliana di influencer marketing Humanz. Lo studio, pubblicato a novembre, ha ammesso che “mentre 7,39 miliardi di post con tag pro-Israele sono stati pubblicati su Instagram e TikTok il mese scorso, nello stesso periodo 109,61 miliardi di post con tag pro-Palestina sono stati pubblicati sulle piattaforme social”. Questo, secondo l’azienda, significa che le opinioni a favore dei palestinesi sono 15 volte più popolari di quelle pro-Israele.

In secondo luogo, i media indipendenti, palestinesi e non, hanno offerto alternative a chi cercava una versione degli eventi diversa da quella che si sta raccontando a proposito di Gaza.

Un solo giornalista freelance palestinese di Gaza, Motaz Azaiza, è riuscito ad acquisire oltre 14 milioni di follower su Instagram nel corso di un solo mese, grazie ai suoi reportage direttamente sul campo.

In terzo luogo, l’attacco a sorpresa del 7 ottobre ha privato Israele dell’iniziativa, non solo per quanto riguarda la guerra in sé, ma anche per la sua giustificazione. Infatti, la loro guerra genocida contro Gaza non ha obiettivi specifici, ma non ha nemmeno una campagna mediatica precisa che difenda o razionalizzi questi obiettivi non specificati. Pertanto, la narrazione mediatica israeliana appare scollegata, disordinata e, a volte, persino autolesionista.

E, infine, l’assoluta brutalità del genocidio israeliano a Gaza. Se si contrappongono le bugie dei media israeliani agli orribili crimini israeliani commessi a Gaza, non si trova alcuna logica plausibile che possa giustificare in modo convincente l’omicidio di massa, lo sfollamento, la privazione di acqua e cibo e il genocidio di una popolazione indifesa.

Mai la propaganda israeliana ha fallito in modo così sorprendente e mai i media mainstream hanno fallito nel proteggere Israele dall’indignazione globale – in realtà, dall’odio ribollente – per il terribile regime di apartheid israeliano. Le ripercussioni di tutto ciò avranno sicuramente un impatto sul modo in cui la storia ricorderà la guerra israeliana a Gaza, che finora ha ucciso e ferito decine di migliaia di civili innocenti.

Un’intera generazione, se non di più, ha già costruito la percezione di Israele come un regime genocida e nessuna bugia futura, film di Hollywood o diffusione di Maxim Magazine potrà mai attenuarla in alcun modo.

Ancora più importante, questa nuova percezione probabilmente costringerà le persone, non solo a riesaminare le loro opinioni sul presente e sul futuro di Israele, ma anche sul passato – il fondamento stesso del regime sionista, a sua volta basato nient’altro che su bugie.

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Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi