Umanizzare i soldati israeliani per giustificare una guerra coloniale

InfoPal. Di Lorenzo Poli. In questi giorni con l’inizio dell’Operazione Ciclone Al-Aqsa, i media mainstream italiani, attraverso i telegiornali, stanno mettendo in atto una delle più becere propagande belliche in favore di Israele senza alcun ritegno. Due sono i messaggi che più di tutti stanno emergendo palesemente: “Israele è la vittima”, “c’è un aggredito, Israele, e un aggressore, Hamas”, “Israele ha diritto di difendersi contro il terrorismo”, “se sei dalla parte della pace sostieni Israele, se sei contro sei filo-Hamas”. Si tratta di operazioni revisioniste sulla storia, di un ribaltamento dell’aggredito (il popolo palestinese, quello che durante la Prima Intifada si ribellava con sassi e bastoni contri le armi innovative israeliane) e l’aggressore (Israele, lo Stato occupante che dal 1948 assedia il popolo palestinese con repressione, violenza militare, controllo, espropriazione delle terre e molto altro).

La storia riconosce le dinamiche di oppresso ed oppressore e non estrapola un fatto da decontestualizzare per creare una narrazione bellica che giustifichi nuovamente altre imprese militari. Non si decontestualizza un fatto per indirizzare il consenso verso chi ha fatto della “guerra”, della “sicurezza” e dell’uso delle armi il proprio modus vivendi opprimendo e discriminando l’altro. Eppure, questo, la propaganda bellica lo sta facendo nuovamente, soprattutto per giustificare l’azione di tutti quegli ebrei nel mondo che, avendo anche la cittadinanza israeliana, andranno a combattere in Israele per continuare il massacro del popolo palestinese.

Il 9 ottobre 2023, il Tg1 ha mandato in onda un servizio in cui parla del caso di due italiani con doppia cittadinanza che andranno a combattere in sostegno ad Israele. Il servizio inizia a presentare Noa Rakel, 22 anni, ragazza che dalla mattina stessa era all’aeroporto di Fiumicino con più di altri 300 ragazzi italo-israeliani riservisti, richiamati da Bibi Netanyahu perché Israele è in guerra. La giornalista punta l’attenzione sui peluche che Noa ha messo sul suo letto. “È mio dovere partire” – dice con voce ferma, qualunque sia il prezzo da pagare. “Non importa se non approverete” – scrive sui social. Parla di come ha convinto la madre della sua volontà di andare in guerra per “difendere Israele”. Nel servizio anche la madre viene intervistata e da un lato triste perché sua figlia andrà in guerra, mentre dall’altro, con le lacrime agli occhi, capisce l’importanza della sua missione in “difesa di Israele”. La madre aveva già un biglietto della compagnia israeliana El Al per rientrare con il volo delle 9 del mattino in Israele dopo giorni di vacanza per le feste di Sukkot.

Stesso vale per Ruben Cesana, cittadino italo-israeliano che ormai vive in Israele da molti anni. Il servizio del Tg1 lo presenta come un padre di famiglia, che si diverte in vacanza con i suoi figli, che è innamorato di sua moglie e che, per questa missione, ha spiegato ai suoi figli che andrà in guerra per “il bene del Paese contro i terroristi”.  

Ciò che si sta cercando di fare è il gioco della macchina propagandistica da guerra israeliana conducendo una “guerra morbida” sui social e nei media nel tentativo di riabilitare l’immagine dell’esercito di occupazione israeliano, di “umanizzare” i suoi soldati, di “umanizzare” i padri di famiglia e rendere “pucciosi” i giovani che si imbattono in questa campagna militare. Stanno anche cercando di rappresentare i militari come persone “buone” che amano, si divertono e svolgono attività ludiche per coprire le loro atrocità nei confronti del popolo palestinese, da cui ha origine questa ondata di resistenza chiamata Ciclone Al-Aqsa.

Non è la prima volta che Israele mette in atto la campagna di umanizzazione dei suoi soldati con il fine di rendere più giustificabile il suo militarismo. 

Nel giugno 2021, il sito palestinese “Metras” ha parlato della presenza di soldati di occupazione israeliani sui social media, iniziando con le reclute israeliane che mostrano il loro fascino tramite Instagram in un modello “estetico” distorto che “maschera l’assoluto orrore e barbarie della macchina coloniale”, mostrando come l’IOF faccia degli accurati resoconti sulle sue azioni “benefiche” facendo risaltare il lato umano dei suoi soldati, come il sostegno ai malati di cancro. Già due anni fa “Metras” aveva capito che questa campagna di immagine nel tentativo di “umanizzare” i soldati dell’occupazione, era “un invito aperto al reclutamento rivolto ai ‘sostenitori dell’esercito’ stranieri, e preannuncia la prossima avventura che il servizio militare compirà” attraverso la promozione. Per questo non sorprende che si tenti di esportare o trasmettere un’immagine esagerata “dell’eroismo” di questi soldati escludendo tutto il resto in modo da contribuire a riprodurre la centralità dell’esercito nella società israeliana.

Si tratta di una distorsione estetica per mascherare quello che è effettivamente il sionismo, il colonialismo israeliano e la loro violenza. I crimini dell’esercito di occupazione israeliano che hanno accompagnato il bombardamento della Striscia di Gaza hanno ancora una volta svelato il vero volto di Israele. Il suo odioso attacco ai civili, così come l’uccisione e l’intimidazione dei bambini.