Fulvio Grimaldi: “La resistenza palestinese come l’Araba Fenice”

InfoPal. Di Lorenzo Poli. Fulvio Grimaldi è giornalista, documentarista, scrittore, mediorientalista ed attivista politico. Grande esperto di America Latina, ha documentato per anni i processi politici popolari, la Rivoluzione Cubana, la Rivoluzione Sandinista in Nicaragua, i colpi di Stato fascisti e più recentemente la Rivoluzione Bolivariana in Venezuela, denunciando fortemente la presenza dell’imperialismo USA e i suoi intenti di destabilizzazione militare contro Paesi che hanno proposto un’alternativa al capitalismo globale. Grande esperto di Medioriente, come inviato di guerra ha raccontato la Siria di Assad, l’Iran degli ayatollah, l’Iraq di Saddam Hussein e il loro continuo stato d’eccezione dato dall’imperialismo USA. È un volto noto della contro-informazione alternativa da sempre, fin da quando scriveva per Paese Sera, radio BBC di Londra, Giorni-Vie Nuove e Lotta Continua. Dal 1986 approda alla Tv di Stato soprattutto come inviato di guerra, che nel marzo 1999 abbandonerà in polemica con la posizione mainstream che avallava la “guerra umanitaria” della NATO in Jugoslavia. Nello stesso anno passa a Liberazione, quotidiano di Rifondazione Comunista, gestendo la rubrica chiamata “Mondocane” – parola che in seguito sarà il titolo di un suo libro, di un suo programma televisivo e il nome del suo blog – fino a quando non è stato allontanato dal quotidiano, nel maggio 2003, esprimendo dissidenza con la linea di partito relativamente alle questioni internazionali riguardanti Iraq, Palestina, Cuba e Jugoslavia. Centrale è stata per lui la questione palestinese di cui ha sempre raccontato le atrocità perpetrate da Israele.

A InfoPal, l’avevamo intervistato sul tema del collaborazionismo dell’ANP e sul tema del “fightwashing”, ovvero come forze neoliberali usino l’immagine iconica della lotta palestinese per attirare verso di sé consenso palestinese, mirando a scopi ben lontani dal riconoscimento della Palestina. Oggi riproponiamo le sue interessanti considerazioni sui recenti fatti del conflitto arabo-israeliano.

Dai fatti del 7 ottobre…

Dal 7 ottobre, con il lancio preciso e concreto di 5mila razzi che, scrive Grimaldi, “la Resistenza è riuscita a lanciare su buona parte del territorio occupato da Israele, ha provocato danni rilevanti a costruzioni e beni, lo sfondamento tramite ruspa dell’’insuperabile’ recinzione che rinchiude i gazawi (perlopiù rifugiati di precedenti pulizie etniche), la cattura di un carro armato nemico, la penetrazione e i combattimenti all’interno del territorio israeliano con conseguente bilancio di decine di morti e di civili e militari catturati. Abbiamo visto Davide contro Golia in versione di parapendii di combattenti votati all’estremo sacrificio con il loro potenziale esplosivo, avendo di fronte i bombardieri F16 del quarto esercito più potente del mondo, quelli che ogni due per tre polverizzano le abitazioni, le aziende, i campi coltivati, gli ospedali, le scuole, in una minuta striscia di terra che contiene il più alto numero di detenuti del mondo. Abbiamo visto esercitare un diritto alla difesa di donne, uomini, bambini, cui da 75 anni si vorrebbe negare esistenza di comunità nazionale e sopravvivenza di popolo, nella complicità di un mondo che si dispera e si affanna sugli attraversamenti precari dei mari di genti dallo stesso mondo sradicati e forzati all’esodo e alla perdita di anima e nome. Proprio come i dannati di Gaza.

Tutto questo accade, dall’inizio dell’anno, contro un governo con a capo ben tre ministri ultra-razzisti che la Corte Suprema vorrebbe processare, mentre gli imputati vorrebbero eliminare i giudici, il popolo ebraico manifesta in strada a milionate in nome della democrazia. Comprensibile che Hamas abbia sfruttato questo massimo momento di crisi del regime per lanciare un’offensiva senza precedenti”.

Come scrive Grimaldi, è comprensibile che Netanyahu spinga alla guerra totale per deflettere l’attenzione dalla questione di legittimità e ritrovare l’unità nazionale nella solita mistificazione della minaccia palestinese:

“Già iniziano a echeggiare gli ululati di indignazione sui terroristi che mettono in discussione il diritto di Israele, a difendersi. Diritto che spetta all’invasore, occupante, escludente, repressore, non certamente a chi è stato invaso, occupato, escluso, represso, in buona misura eliminato. Oggi le cose nel mondo devono andare così. E’ il dato che ci deriva dall’essere noi dalla parte dello schieramento democratico e tutti gli altri nella notte della violenza, del terrorismo, del razzismo e dell’autocrazia. Ma da Gaza si è levata in volo l’araba fenice”.

Grimaldi paragona la resistenza palestinese all’Araba Fenice, che secondo la leggenda dalle ceneri emerge un uovo che, grazie al calore dei raggi solari, cresce molto rapidamente facendo nascere la nuova fenice nel giro di tre giorni. Una volta spiccato il volo, l’uccello mitologico raggiunge Heliopolis e ricomincia la sua lunga vita.

Hamas ha bucato l’imbattibile sistema d’intelligence israeliano.

Grimaldi è stato uno dei primi che, da subito, ha smontato la narrazione secondo cui “è evidente che Netanyahu ha lasciato fare a Hamas. Cercava l’occasione per farla definitivamente finita con i terroristi islamici”. Grimaldi scrive: “Israele se l’è lasciato fare, o l’ha subito? A mio parere, da vecchio mediorientalista, la seconda. Anche perché è già successo altre volte che lo stato più armato e bellicoso del mondo (dopo gli USA, ma solo per dimensioni) si fosse fatto trovare a pantaloni abbassati. Il mito dell’invincibilità era fuffa per i romani ed è fuffa per lo Stato (esclusivo) degli ebrei (per quanto eletti)”.

E prosegue: “E’ talmente radicata nei bene intenzionati verso “l’unica democrazia del Medioriente”, la convinzione dell’infallibilità (di origine biblica?) e invulnerabilità dello stato proclamatosi nel 2018, sui territori invasi e occupati, “Stato degli ebrei”, che la semplice idea che la Quarta Potenza Militare mondiale possa aver subito un rovescio, gli torna blasfema e surreale.

Discorso che vale in particolare per i servizi di intelligence, unanimemente riconosciuti i migliori del mondo, il Mossad, esterno, e lo Shin bet, interno. Difficile accettare che questi due strumenti di sorveglianza, spionaggio e operazioni clandestine, si siano lasciati sorprendere a tal punto. Tanto più che c’è chi gli attribuisce la disponibilità di ben 50 palestinesi infiltrati a Gaza. Ma chi li sospetta consapevoli e fruitori, si rende conto della catastrofe d’immagine e di credibilità subita e di che colpo sia stato inferto alla sicurezza psicologica e alla fiducia nello Stato dei cittadini israeliani? Invece no, tigre di carta – esagerando un tantino – Israele lo ha dimostrato di esserlo, pur sempre capace di ficcare i propri artigli su gente inerme e ragazzini lanciatori di sassi. La propaganda della sua imbattibilità serve essenzialmente a rendere rassegnato chi l’attribuisce a una realtà immodificabile, per quanto nequizie compia e sangue sparga”.

Il giornalista sottolinea come non è la prima volta che Israele viene preso alla sprovvista dalla resistenza palestinese: “Nella mia esperienza personale, a parte la Guerra dei Sei Giorni, riuscita in un battibaleno grazie alla distruzione a sorpresa di tutte le aeronautiche dei Paesi nemici, ogni altra vicenda bellica gli è andata male. Nel 1973, Guerra del Kippur, oggi ricordata dall’irruzione dei palestinesi nell’inviolabile terra assegnatasi dagli israeliani, Israele fu preso totalmente alla sprovvista e si salvò grazie al massiccio contributo di armi statunitensi. Nel 2000 e nel 2006, a dispetto dei bombardamenti a tappeto su Beirut e altre città libanesi, Israele fu cacciato dal Libano da Hezbollah, una forza guerrigliera armata di stracci e Kalashnikov. Negli anni ’80 e poi 2000, le due Intifade, protrattesi per anni in virtù di una sollevazione di ragazzi eminentemente disarmati, portarono alla più grave crisi mai conosciuta dallo Stato colonialista e confessionale: venne a mancare l’immigrazione, vitale per contenere l’espansione demografica dei palestinesi e, anzi, ebrei immigrati iniziarono a tornare nei paesi d’origine, gli investimenti stranieri, vitali per l’economia, cessarono del tutto. Va quindi tolta di mezzo sia l’idea paralizzante dell’invincibilità israeliana, sia la furbata per la quale il regime para-nazista di Netanyahu, Ben Gvir (“Sputate pure sui cristiani a Gerusalemme!”) e Smotrich avrebbe lasciato che Hamas, ora anche sostenuto da tutte le organizzazioni della Resistenza (salvo i collaborazionisti di Abu Mazen nell’ANP, del tutto spiazzati), imperversasse con missili e combattenti in quasi tutto il territorio di Israele. Con il successo enorme, anche psicologico, dell’incursione prolungata nei territori colonizzati e della cattura di decine, forse centinaia, di abitanti delle colonie israeliane, di soldati e addirittura del generale, a capo delle forze armate d’élite. Potrebbero, questi ostaggi, porre un limite all’offensiva via aria e terra annunciata da Netanyahu. Questo governo di estrema destra aveva colto lo spirito del tempo in Occidente e puntava a liberarsi del controllo della magistratura con una riforma che ha posto la Corte Suprema – in procinto di processare Netanyahu e due suoi ministri accusati di corruzione – sotto il controllo del governo. (…) Alla rivolta da inizio anno di tutto il popolo ebraico, geloso della democrazia (per sé, naturalmente, i palestinesi non contano), il regime ha risposto distraendo verso il solito nemico esterno. Un depistaggio tramite devastazioni e mattanze, di esercito e coloni in combutta, nei territori occupati in Cisgiordania. Non è servito a fermare le proteste. Vi partecipavano addirittura i riservisti, che, rifiutandosi al servizio, minacciavano gravi conseguenze per l’efficienza delle forze armate”.

Interessante è stata anche la sua analisi sul futuro degli Accordi di Abramo: “Ora il compattamento della società israeliana vorrà essere ottenuto con la solita guerra contro quella disperazione determinata che è Gaza, una striscia di circa 300kmq contenente 2 milioni di detenuti a cielo aperto, di cui il 45% disoccupati e, prevedibilmente, una buona quota senza più casa, o vita. E magari ci si allargherà anche al Libano, preda negata e ambita da sempre. Il fermento sul confine è già in atto. Che le cose, al netto delle sofferenze e dei sacrifici cui i palestinesi oppongono una capacità di vita e di rivendicazione del giusto come raramente la nostra Storia ha visto, vadano malissimo per Israele, è dovuto anche all’intelligenza tattica della Resistenza. Da un lato ha posto bastoni, forse infrangibili, tra le gambe del processo di “normalizzazione” tra lo Stato ebraico e alcuni paesi arabi. L’Accordo di Abramo con Emirati, Bahrein, Marocco, parzialmente Sudan, e Arabia Saudita in prospettiva. Vista il compatto schieramento delle popolazioni arabi a fianco dei palestinesi, quei governi “conciliatori”, a garanzie della propria stabilità dovranno rivedere i propri propositi. Già la riconciliazione, mediata da un’abile e saggia Cina, tra i due fronti opposti, Arabia Saudita e Iran, che avevano, a beneficio degli USA, alimentato tensioni e conflitti in tutta la regione, ha gravato sulla possibilità di USA e Israele di determinare eventi ed equilibri nella regione. Ora i bluff del poker israelo-occidentale – lo Stato “democratico” invincibile, i “terroristi”, il “moderato” Abu Mazen, la nuova costellazione filoccidentale israelo-araba – sono stati visti dall’irriducibilità di un popolo col quale si pensava di aver chiuso il discorso. Quell’ombelico del mondo che da 75 anni è la Palestina farà voltare pagina a tutti”.

L’impunità garantita allo Stato occupante, colonialista e razzista israeliano ha portato ad un eccesso di tracotanza con effetti autodistruttivi. Ne è prova inconfutabile lo spaventoso massacro inflitto a 2,3 milioni di civili rifugiati da precedenti persecuzioni ed espulsioni, bombardati addirittura mentre erano in fuga nei cosiddetti “corridoi umanitari” e culminato con l’apocalittica strage di 500 civili nell’ospedale di Al-Ahly a Gaza. Come scrive Grimaldi:

“La vicenda ha cambiato di colpo la prospettiva dell’Occidente imperialista e del suo avamposto israeliano, mettendo in radicale discussione il progetto della “normalizzazione” tra Stato dell’apartheid sionista e Paesi arabi con l’esito strategicamente finale della Grande Israele, vaticinata da Theodor Herzl e Chaim Weizman e rimasto in cima all’agenda dei dirigenti israeliani e di tutto il movimento sionista.

Un progetto sullo sfondo del quale si intravede la marcia di avvicinamento con le guerre d’aggressione agli Stati arabi avversari di Israele, Iraq, Libia, Siria, Egitto, Libano, mirate ad indebolirli fino alla totale disgregazione, anche con il concorso del mercenariato ISIS, ora in procinto di essere riattivato in Europa.

Due grandi potenze come Cina e Russia si sono decisamente schierate contro lo Stato criminale e a favore della causa palestinese che torna a mettere all’ordine del giorno una necessità storica che Occidente e Israele avevano tentato di obliterare: lo Stato palestinese.

Voci di popolo dall’intero mondo arabo, a dispetto di alcune oligarchie regnanti, e dal tutto il Sud globale, condannano Israele e il suo regime. Regime totalitario e razzista messo in crisi perfino dalla propria popolazione (sebbene per altri motivi). La situazione geopolitica in Medioriente si è capovolta, con effetti che si riverbereranno su tutto il pianeta”.

Hamas e Israele. Terrorista a chi?

Il 21 ottobre, Fulvio Grimaldi ha inoltre fatto un’ottima riflessione sul come il mainstream stia facendo di tutto per far passare l’azione di Israele come un esempio di “legittima difesa”, mentre le azioni della resistenza palestinese come “terrorismo”: “Terrorista a chi? A chi in due settimane ha ammazzato con le bombe 5000 civili, tra donne, bambini, uomini rifugiatisi in ospedali, scuole, chiese, sedi ONU. O a chi il 7 ottobre ha colpito un gruppo di occupanti della propria terra sottratta, tutti o ex militari, o futuri militari della potenza occupante ed è poi stato colpito da immonde calunnie circa bambini decapitati per giustificare un genocidio in progress? Terrorista a chi? Ma sicuramente a quei massimi fetentoni, perlopiù di destra, che mescolano il diavolo con l’acqua santa, per dire, quando provano a costringerci dalla parte dei concentrazionisti israeliani dicendo che Hamas è Isis sono la stessa cosa”.

Esemplare è stato infatti vedere la colona israeliana ferita del Kibbutz attaccato da Hamas che attribuisce le vittime alla reazione dei soldati israeliani. O addirittura la voce della colona israeliana Yasmin Porat che ha affermato che i civili israeliani sono stati uccisi dalle forze israeliane e non da Hamas.

Poi Grimaldi parla di come Israele, da 75 anni, più che praticare la Difesa, pratichi l’offesa: “Qua uno che riveste la carica di ministro della Difesa dà degli “animali” alle persone che vivono a Gaza, sotto un genocidio strisciante che è diventato immediato e definitivo, viene corroborato dal capo di governo di quel paese che le definisce “bestie”. Nessuno se ne adombra, nemmeno quando (…) l’ambasciatrice nel Regno Unito di quella entità coloniale, Tzipi Hotovely, (…) ha assicurato a Israele la licenza di uccidere 600.000 palestinesi “proprio come i britannici ebbero il diritto di uccidere 600.000 civili tedeschi nelle città rase al suolo”. Sono nostri alleati, bastioni della civiltà occidentale”.

Grimaldi sottolinea come queste dichiarazioni, aggravate da ipocrisia israeliana autoinvestita del nome di “democrazia e difesa dei diritti umani”, siano simili a quelle che la ex-segretaria di Stato Usa, Madeleine Albright, aveva dichiarato il 12 maggio 1996 durante un’intervista con la giornalista Lesley Stahl. Quando la giornalista le pone la questione della morte di 500.000 bambini iracheni presumibilmente a causa delle sanzioni USA, Albright giustificò queste misure coercitive con la frase celebre “ne valeva la pena” pur di rovesciare l’allora presidente iraqeno Saddam Hussein. Chi è dunque il terrorista?

Meglio dalla parte del torto che della ragione. Uno sguardo anti-imperialista.

Grimaldi si pone, ancora una volta, dalla parte degli oppressi e propone uno sguardo anti-imperialista: “Perdonatemi se, pescando nelle nebbie del mio latinorum liceale e cercando di dire che schierarsi è meglio che considerare, ho scritto una puttanata. Il che non toglie niente alla mia convinzione che mai come oggi, mai come guardando prima all’Ucraina e poi alla Palestina/Israele, con in mezzo i disastri da crimini contro l’umanità di Afghanistan, Libia, Siria, Iraq, Yemen, Libano, Somalia, Armenia, più colpi di Stato USA vari, tocca stare con coloro cui il vociferare dominante dà torto. Coloro contro i quali sbraita la spia CIA Giuliano Ferrara, con dietro, a passo dell’oca e insegne svasticate coperte, le armate di altrettanti sodali CIA-e-affini, travestiti da giornalisti e rappresentanti del popolo.

Ho visto Sabra e Shatila dove, sotto gli occhi del generale Sharon e dell’esercito invasore, 1.300 donne e bambini sono stati fatti a pezzi; conosco la Palestina torturata, ammazzata, negata da 75 anni e la frequento da 56. Ho vissuto a Gaza con Vittorio Arrigoni l’esperienza di cosa fa un gatto enorme a un topo piccolo piccolo. Ho raccolto le testimonianze e le immagini di chi s’è visto bruciare vivi i fratelli, figli, padri, madri, sorelle, con addosso il fosforo bianco lanciato da uno dei più potenti, nuclearizzati, spietati e immorali esercito del mondo.

Io, sulle pareti delle case di Gaza invase, ho letto e riletto la scritta “Ammazzare arabi!”, accompagnato da graffiti che disegnavano cimiteri. Scritte che insistono a ricordarmi quel capitano israeliano che, nel giugno 1967, a guerra dei Sei Giorni vinta, mi disse: “L’unico arabo buono è l’arabo morto”. Detto che percuote anche gli abitanti di Gerusalemme Est, ogni volta che bande di teppisti ispirati da Netanyahu, Ben Gvir Smotrich, percorrono quella che doveva essere, secondo l’ONU, la capitale dello Stato palestinese.

Sono stato nella casa di quel medico arabo che, in pieno “Piombo Fuso”, mentre era in collegamento con una TV israeliana, si è visto arrivare un missile che gli ha incenerito le tre figlie piccole. Ho visto, ridotti a neo-cavernicoli, vivere tra le macerie buona parte di 2 milioni di persone innocenti. Ho ascoltato una bimba di 12 anni raccontarmi come 13 membri della sua famiglia siano stati trucidati quando erano in casa sotto le bombe, o in fila, prigionieri con fazzoletti bianchi, sparati prima ancora di giungere alle fosse comuni.

Mi sono beccato una bronchite cronica a Ramallah, per aver tentato di documentare una manifestazione pacifica di studenti universitari sotto un diluvio di gas tossici, proibiti da convenzione internazionale, ma respirati dai palestinesi ininterrottamente da 50 anni. Io sono anche quello che, proprio di questi tempi, ha visto terroristi veri – quelli, cioè, inventati, rastrellati, addestrati, armati, pagati, dalle nostre note centrali terroristiche e False Flag – scuoiare, bruciare vivi, annegare in gabbie, stuprare, impiccare civili siriani, non disposti a fare del loro paese quello che la banda Zelensky fa dell’Ucraina; mentre i feriti di questi stessi terroristi venivano amorevolmente riparati in territori occupati da Israele e visitati dal premier dell’ “Unica Democrazia del Medioriente”.

Sono stato in Israele, dopo la spartizione ONU della Palestina tra autoctoni e neoarrivati, quando gli invasori si erano già fatti largo a Deir Yassin, inaugurando il terrorismo sionista con il massacro dei 200 abitanti di quel villaggio. E ci sono stato prima degli accordi di Oslo, 1991, quando, dopo la Guerra dei Sei Giorni, tutta la Palestina da spartire era diventata tutta Israele. Ci sono stato anche dopo Oslo, con la nuova spartizione risultata in qualche frammento di Palestina lasciato ad amministratori collaborazionisti, alla Abu Mazen, ma con addosso 500.000 coloni fatti arrivare da fuori e garantiti nelle loro incursioni e rapine di terra, da occupanti armati che non avrebbero dovuto starci.

Sono figlio di un Occidente europeo dei cui valori è stata riempita la mia formazione e dei cui valori gocciolano tuttora cronache e istorie. Valori basate su: crociate genocide, guerre di religione all’interno della stessa religione, colonialismo e neocolonialismo, predatori e saccheggiatori, guerre di sterminio di innocenti ma di esportazione della democrazia, trasposizione di popoli poveri perché facessero più poveri i popoli che stavano meglio perché meglio i loro capi avevano rubato, guerre di terroristi là dove non conveniva più impegnare i propri cittadini armati, e sempre guerra sociocida dei quattro ricchi contro 7,5 miliardi di poveri, di cui Gaza, la Palestina sono l‘icona. Gaza, la Palestina, sono l’ombelico del mondo, reciso quello, moriamo tutti. Per cui non venite a parlarmi di Hamas”.

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