Operazione “Spade di ferro” e Operazione “Ciclone Al-Aqsa”. Israele è la “vittima”? Facciamo un po’ di contro-debunking

InfoPal. Lorenzo Poli e Angela Lano. Dopo le continue aggressioni coloniali che Israele conduce sulla popolazione palestinese, culminate nei fatti del 5 e del 6 ottobre, il braccio armato di Hamas, le Brigate al-Qassam, e il resto delle fazioni della Resistenza, hanno dato inizio all’Operazione “Ciclone Al-Aqsa” su Israele. In seguito Israele ha risposto con un’escalation militare su Gaza dato origine all’Operazione “Spade di ferro”, compiendo il genocidio in corso di civili gazawi e aggravando la crisi umanitaria che a Gaza dura dal 2006. Di seguito abbiamo raccolto le affermazioni cardine della narrazione pro-Israele, che si possono trovare su siti e social, per fare un’analisi di “contro-debunking” smontandone la fallacia.

I – Accusando lo Stato di Israele di uccidere i civili palestinesi e di compiere una strage si ignora che l’esercito israeliano fa di tutto per evitare morti civili. FALSO.

Dal 7 ottobre 2023, con l’escalation militare israeliana su Gaza nominata come Operazione “Spade di ferro”, l’esercito israeliano ha provocato la morte più di 7.326 persone tra la popolazione gazawi. Quindi non solo non evita i morti, ma continua con le sue politiche coloniali e di genocidio come da 75 anni a questa parte.

II – Chi appoggia le ragioni israeliane, quando legge di morti civili tra i palestinesi, si sente a disagio. Li citate in modo di bloccare ogni discussione sul nascere. FALSO.

Chi appoggia la causa sionista non si sente a disagio quando sente parlare dei morti palestinesi da parte dell’IDF e dell’IOF, ma purtroppo per la maggior parte, gioisce o rimane indifferente. Un esempio è il ridicolizzare le donne palestinesi “sotto le bombe israeliane” da parte della giovane influencer israeliana Noya Cohen. Il successo della Cohen si registra con migliaia di visualizzazioni ogni giorno. Questo dimostra come odio anti-palestinese, razzismo anti-arabo, l’islamofobia e il suprematismo bianco siano ben radicati nell’opinione pubblica israeliana, specialmente nei settori integralista ed ultra-ortodossi ebraici.

III – Davanti ai morti, soprattutto se bambini, non si dovrebbe disquisire sulle ragioni dell’offensiva israeliana. Questo è crudele, cinico, insensibile. FALSO.

Invece sì! Partendo dal fatto che la notizia delle “decapitazioni di neonati” da parte delle Brigate al-Qassam è una notizia falsa, se vogliamo essere onesti moralmente, la reazione della resistenza palestinese ha le sue cause nell’oppressione coloniale sionista. Inoltre non si capisce come mai la compassione dovrebbe essere fornita solo ai morti israeliani. Ancora prima dell’Operazione Ciclone Al-Aqsa, tra il 5 e il 6 ottobre, i soldati israeliani hanno bombardato di proiettili l’auto che trasportava due palestinesi, Abdul Rahman Fares Muhammad Atta (23 anni) e Hudhayfah Adnan Muhammad Fares (27 anni), ferendoli gravemente vicino al villaggio di Shufa, nel sud-est di Tulkarem. I giovani sono stati successivamente dichiarati morti. Quel venerdì mattina, un giovane palestinese di 19 anni, Mohammad Labib Dhamidi, è stato ucciso, in un attacco di coloni nella città occupata di Huwwara, nel distretto di Nablus, in Cisgiordania. Non bisogna inoltre dimenticare la tragedia di Mohammed Haitham al-Tamimi, bambino di due anni ucciso dall’esercito israeliano con un colpo in testa. Secondo l’Ufficio palestinese della Difesa per i Bambini Internazionale (DCIP), Al-Tamimi era uno dei 27 minori palestinesi uccisi a causa dell’attività militare e dei coloni israeliani nella Cisgiordania occupata e a Gaza da gennaio a giugno 2023.

IV – Il 7 ottobre 2023 c’è stata una strage di civili israeliani compiuta dai miliziani terroristi di Hamas con oltre 1400 morti, 4600 feriti e 200 ostaggi. Una mattanza voluta, volontaria, pianificata, avvenuta casa per casa, non si tratta di “danni collaterali”. FALSO.

Prima di tutto, si è trattato di militari e di coloni che, notoriamente, sono armati fino ai denti. Poi, possiamo usare il termine tanto caro agli USA quando vanno a esportare la loro “democrazia” a suon di bombe nei Paesi pieni di risorse energetiche e strategici: “danni collaterali”, dal momento che in un conflitto lo scontro e le perdite da entrambi i fronti sono fisiologici. Il problema nel conflitto israelo-palestinese è che lo scontro è asimmetrico data la differenza tra la capacità tecno-militare di Israele e quella di Hamas. Lo scontro sproporzionato è, fin dalla Nakba del 1948, il punto forte del colonialismo israeliano che ha puntato alla de-arabizzazione della Palestina commettendo tuttora un genocidio. Se da un lato i razzi di Hamas vengono distrutti in volo dal sistema di scudo spaziale israeliano Iron Dome, dall’altro dobbiamo ricordare che durante la Prima Intifada i palestinesi erano armati di sassi e bastoni contro il quarto esercito più potente al mondo. Ora la situazione è cambiata, ma la sproporzione è sempre evidentissima.

V – L’indipendenza palestinese non ci azzecca nulla con le ragioni dell’Operazione Ciclone Al-Aqsa di Hamas. FALSO.

L’indipendenza palestinese c’entra con tutte le organizzazioni palestinesi che lottano per la liberazione nazionale del loro popolo: l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) fondata nel 1964; il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) fondato nel 1967; il Jihad Islamico fondato nel 1981; Ḥarakat al-Muqāwama al-Islāmiyya, movimento di resistenza islamica (Hamas) fondato nel 1987; e Al-Fatah fondata nel 1959 – nonostante negli ultimi decenni si sia contraddistinta per il collaborazionismo con Israele. “È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione” – ha ricordato António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, precisando che, come le rivendicazioni dei palestinesi “non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas”, “così questi spaventosi attacchi non possono giustificare la punizione collettiva” del popolo della Striscia di Gaza. Il segretario Onu ha, altresì, reiterato l’”appello per un cessate il fuoco umanitario”, sottolineando che “nessuna parte in un conflitto armato è al di sopra del diritto internazionale”.

VI – Nello Statuto di Hamas c’è la volontà di uccidere gli ebrei in ogni luogo del mondo. FALSO.

Non c’è nessun intento di Hamas di uccidere gli ebrei. “Il Movimento di Resistenza Islamico è un movimento umanistico. Si occupa dei diritti umani, e si impegna a mantenere la tolleranza islamica nei confronti dei seguaci di altre religioni. È ostile solo a coloro che mostrano ostilità nei riguardi dell’islam, si mettono di traverso al suo cammino per arrestarlo o ostacolano i suoi sforzi. All’ombra dell’islam, è possibile ai seguaci delle tre religioni – islam, cristianesimo ed ebraismo – coesistere in pace e sicurezza. Anzi, pace e sicurezza sono possibili solo all’ombra dell’islam, e la storia antica e quella recente sono le migliori testimoni di questa verità. I seguaci di altre religioni devono smettere di combattere l’islam a proposito del dominio di questa regione. Perché se fossero loro a dominare, non ci sarebbero altro che lotta, torture ed esilio; sarebbero disgustati gli uni degli altri al loro interno, per non parlare dei seguaci di altre religioni. Il passato e il presente sono pieni di prove di questa verità. (…) L’islam concede a ciascuno i suoi diritti, e impedisce l’aggressione contro i diritti degli altri. Le pratiche naziste dei sionisti contro il nostro popolo non dureranno neppure per il tempo della loro invasione“. Questo brano è tratto dallo Statuto di Hamas (articolo 31). Hamas si riferisce alla paura infondata del cristianesimo e dell’ebraismo dell’islamizzazione dell’Occidente che è un’invenzione per alimentare ancora di più l’islamofobia.

VII – Hamas va distrutto, va debellato. Non è più questione di vivere con il pericolo che ti cada un missile in testa come era prima (situazione comunque che nessun altro Stato del mondo accetterebbe, anche voi stessi non lo accettereste se accadesse in Italia); non si può più far finta di niente, ormai si è superato il limite, la misura è colma. Un’organizzazione terroristica che va oltre le più basilari regole umane va estirpata. FALSO.

Partendo dal fatto che Hamas è un partito che si rifà all’islam politico ed è un’organizzazione della resistenza palestinese di stampo religioso, ci sembra che questa enfasi non sia data per le violazioni dei diritti umani, la repressione, le violenze, l’apartheid razzista, le pulizie etniche, le punizioni collettive, la militarizzazione dei territori che Israele perpetra quotidianamente con le sue forze armate (IDF e IOF) nei Territori Palestinesi Occupati con tanto di esproprio di abitazioni palestinesi per far spazio agli insediamenti illegali. Non sembra che tutta questa enfasi ci sia stata nel condannare il terrorismo sionista dell’Haganah, dell’Irgun, della Banda Stern – che sono stati i fondamenti storici della colonizzazione della Palestina – e degli attacchi terroristici “Price tag” dei coloni ebrei. Anche questa situazione è stata invivibile e insopportabile, nel silenzio globale.

VIII – I miliziani di Hamas non si sono mai fatti problemi a sparare missili verso Israele avendo come avamposti i centri abitati. Hanno sempre fatto leva sul rischio di morti civili come deterrente ad un attacco su larga scala israeliano. FALSO.

Hamas sa che la sua capacità tecno-militare è inferiore anni luce rispetto a quella israeliana. Israele non si è mai fatto problemi a sparare missili su Gaza, sapendo che non avevano armi per difendersi portando lo scontro su un piano asimmetrico.

IX – Proprio fino ad oggi, preoccupandosi per i morti, l’esercito israeliano aveva sempre desistito da un attacco di terra proprio per questo rischio. FALSO.

Israele, nella sua storia militare lunga 75 anni, ha sempre realizzato attacchi di terra verso la popolazione palestinese. Esempi sono l’Operazione “Piombo Fuso” del 2009, l’Operazione “Margine protettivo” del 2014, l’Operazione “Guardiani delle Mura” del 2021 e l’attuale Operazione “Spade di ferro”. Non solo, l’Operazione “Guardiani delle Mura”, e la conseguente distruzione di Gaza da parte di Israele, è servita per testare la Prima Guerra Mondiale dell’Intelligenza Artificiale, sperimentando sul campo i nuovi sistemi di morte del complesso militare-industriale israeliano. Come ha riportato The Jerusalem Post, citando un ufficiale del servizio d’intelligence delle forze armate di Israele: “Per la prima volta l’intelligenza artificiale è stata la componente chiave e un moltiplicatore di potenza nella guerra al nemico”.

X – Ogni Stato deve mettere al primo posto la sicurezza dei propri cittadini, poi quella degli altri. FALSO.

Israele crea la richiesta di maggior sicurezza da parte della cittadinanza israeliana attraverso la propaganda di guerra. A denunciarlo era stato, molti anni fa, il fisico tedesco ebreo, nonché sopravvissuto alla Shoah, Hajo Meyer, secondo il quale lo Stato d’Israele e i governi Netanyahu hanno usato ed usano la “traumatizzazione sequenziale” degli ebrei riguardo alla Shoah con il fine di alimentare la paura, il continuo bisogno di iper-sicurezza e di società securitaria per indottrinare e inculcare l’obbedienza nei confronti di Israele contro i suoi “nemici”. Hajo Meyer indicava la strumentalizzazione sionista della Shoah da parte della propaganda bellica israeliana come una strategia di ingegneria sociale applicata dallo Stato d’Israele nei confronti dei suoi cittadini. La tragedia della Shoah non può essere usata come pretesto moralistico per legittimare le azioni di Israele tramite il “senso di colpa” ed Auschwitz non deve essere usato per legittimare gli orrori del sionismo, né tantomeno il continuo bisogno di “difesa” dello Stato sionista.

XI – L’esercito israeliano farà comunque di tutto per tutelare i civili di Gaza. Già ne sono partiti tantissimi da nord (oltre 600mila) verso sud proprio su indicazione dell’IDF che vuole salvarli, e stanno ricevendo aiuti umanitari. Molti sono ancora a Gaza per un motivo o un altro, si farà il possibile per tutelare gli innocenti, non sarà facile ma si farà. O almeno è questo che desidera chi appoggia le ragioni israeliane, più di ogni altra cosa e mai si sognerebbe di festeggiare o esultare davanti ad un innocente ucciso. FALSO.

Dal 2006, Israele ha imposto l’embargo, economico e sanitario, e l’assedio militare su Gaza. Questo ha totalmente impedito di tutelare i civili gazawi. Le guerre contro la Striscia di Gaza hanno visto la distruzione totale di alcuni ospedali e l’apparato medico paramedico ha dovuto pagare per il caos scatenato dai missili israeliani che hanno colpito decine di ambulanze con a bordo il personale medico. Non c’è mai stato e non c’è tuttora l’intento delle forze israeliane di salvare la popolazione di Gaza con aiuti umanitari. In questi anni l’occupazione coloniale israeliana ha impedito in tutti i modi l’arrivo di aiuti umanitari a Gaza e un esempio noto è stato il sequestro – avvenuto illegalmente – in acque internazionali, della Freedom Flotilla nel 2010 carica di aiuti umanitari verso Gaza. L’ordinamento internazionale si preoccupa di mantenere gli abitanti del territorio occupato quanto più possibile indenni dalle conseguenze del conflitto. Le scarne disposizioni previste dal Regolamento dell’Aja del 1907 – che si limitava a proteggere la vita, le convinzioni religiose, l’onore, i diritti di famiglia e la proprietà della popolazione locale, ed a sancire il principio della responsabilità personale 22 – sono state ampiamente integrate dalle regole della IV Convenzione di Ginevra e del I Protocollo del 1977, che riconoscono agli abitanti del territorio occupato la qualifica di «persone protette»[1]. L’evoluzione che la tutela internazionale della persona umana ha avuto negli ultimi sessant’anni, grazie all’elaborazione di strumenti convenzionali tesi a garantire diritti sempre più ampi agli individui, estende ulteriormente gli obblighi che gravano sull’Autorità occupante. Quest’ultima è infatti chiamata a riconoscere agli abitanti del territorio occupato, oltre ai diritti che le norme umanitarie attribuiscono loro in quanto vittime del conflitto armato, anche la ben più ampia categoria di garanzie che l’ordinamento internazionale riconosce a tutti gli esseri umani. L’occupazione non è condivisibile alla luce del diritto internazionale contemporaneo[2]. La piena applicabilità delle norme generali per la tutela dei diritti umani in caso di conflitto armato è stata più volte ribadita dall’Assemblea generale[3] e dal Segretario generale delle Nazioni Unite[4]. Come si è detto[5], la Commissione del diritto internazionale ha inserito i trattati per la tutela dei diritti umani fra le categorie di convenzioni che, in ragione del loro oggetto e del loro scopo, devono ritenersi applicabili anche nel corso delle ostilità. Israele, in barba a tutto ciò, non ha mai adempiuto ai suoi doveri di Stato occupante, calpestando il diritto internazionale con l’annessione illegale di territori, sia per non aver provveduto al rifornimento di medicinali ai palestinesi sotto occupazione, sia alla messa in salvo dei civili innocenti. Purtroppo questo diritto è calpestato tutti i giorni in Palestina e quando si tratta dei diritti del popolo palestinese questo diritto viene violato in continuazione. La messa in salvo del popolo palestinese non rientra in alcun modo nelle priorità di chi sostiene le “ragioni israeliane”.


[1]  GERSON, Trustee-Occupant: The Legal Status of Israel’s Presence in the West Bank, in HILJ, 1973, p. 1 ss., con riferimento esclusivo all’occupazione israeliana dei Territori palestinesi. Parte della dottrina israeliana più recente considera però la nozione di «amministrazione fiduciaria» rilevante rispetto a qualsiasi occupazione (cfr. BEN-NAFTALI, PathoLAWgical Occupation: Normalizing the Exceptional Case of the Occupied Palestinian Territory and Other Legal Pathologies, in BEN-NATFALI (ed.), op. cit., p. 129 ss., p. 138 ss.; BENVENISTI, The International Law of Occupation, cit., p. 3 s. Contra, DINSTEIN, The International Law of Belligerent Occupation, cit., p. 36).

[2] Cfr., fra i tanti: DOSWALD-BECK, VITÉ, Le droit international humanitaire et le droit des droits de l’homme, in RICR, 1993, n. 800, p. 99 ss.; FROWEIN, The Relationship between Human Rights Regimes and Regimes of Belligerent Occupation, in IYHR, 1998, p. 1 ss.; GREPPI, Diritto internazionale umanitario dei conflitti armati e diritti umani, profili di una convergenza, in Com. int., 1996, p. 473 ss.; HEINTZE, On the Relationship between Human Rights Law Protection and International Humanitarian Law, in RICR, 2004, n. 856, p. 789 ss.; LATTANZI, Il confine fra diritto internazionale umanitario e diritti dell’uomo, in Studi di diritto internazionale in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, cit., vol. III, p. 1985 ss.; MERON, Convergence of International Humanitarian Law and Human Rights Law, in WARNER (ed.), Human Rights and Humanitarian Law: The Quest for Universality, The Hague/Boston/London, 1997, p. 97 ss.; MIGLIAZZA, L’évolution de la réglementation de la guerre à la lumière de la sauvegarde des droits de l’homme, in Rec. des cours, 1972-III, p. 141 ss., p. 185 ss.; VENTURINI, Diritto umanitario e diritti dell’uomo: rispettivi ambiti di intervento e punti di confluenza, in RIDU, 2001, p. 49 ss. L’applicabilità delle norme sui diritti umani in tempo di guerra è stata inoltre affermata dal Comitato per i diritti umani (cfr. 29 marzo 2004, General Comment n. 31, The Nature of the General Legal Obligation Imposed on States Parties to the Covenant, CCPR/C/74/CRP.4/Rev.6, par. 11), dalla Conferenza mondiale sui diritti dell’uomo (cfr. la Vienna Declaration and Programme of Action of the World Conference on Human Rights del 25 giugno 1993, nella quale si afferma che i belligeranti sono tenuti ad osservare, oltre alle norme di diritto internazionale umanitario, «other rules and principles of international law, as well as minimum standards for protection of human rights as laid down in international conventions») e dalla Corte internazionale di giustizia nel parere sul «Muro» (cfr. Legal Consequences of the Construction of a Wall in the Occupied Palestinian Territory, cit., par. 106).

[3] Cfr., ad esempio, la ris. n. 2675 (XXV) del 9 dicembre 1970, nella quale si ribadisce che «Fundamental human rights, as accepted in international law and laid down in international instruments, continue to apply fully in situations of armed conflict».

[4] Cfr. il rapporto del 18 settembre 1970, Respect for Human Rights in Armed Conflicts: General Norms Concerning Respect for Human Rights in their Applicability to Armed Conflicts, UN Doc. A/8052, par. 20 ss.

[5] Supra, Introduzione, par. 4.