Vite sotto occupazione: si fermano gli ospedali di Gaza

Vite sotto occupazione: si fermano gli ospedali di Gaza
Kamal Abu Obada, vice direttore dell’Unità di terapia intensiva, ospedale ash-Shifa. Foto: Pchr.

Pchr. La realtà generata dal persistente assedio illegale imposto da Israele, il boicottaggio internazionale contro le autorità di Gaza, e le tensioni politiche tra il ministero di Gaza e quello di Ramallah, hanno prodotto una serie di crisi nella Striscia di Gaza: da quella del carburante a quella dell’elettricità.
Esse sono seguite poi le crisi dell’acqua potabile, degli impianti sanitari, degli ospedali e di altre strutture di settore che a Gaza non riescono ad erogare alcun servizio di base, mettendo a repentaglio così il diritto alla salute e quello alla vita. Tuttavia, sono tutte problematiche che hanno rappresentato una costante nella vita di Gaza, sin dall’assedio israeliano imposto dal 2007.

Nel gennaio 2011, tra nessuna garanzia di rifornimenti e gli alti costi, le autorità di Gaza hanno smesso di importare carburante da Israele. Da allora, a Gaza si è sorpravvissuti facendo affidamento sul contrabbando di carburante dai tunnel al confine con l’Egitto.
Poi, il 14 febbraio scorso, a pochi giorni dal fermo delle attività nei tunnel, si è fermata anche la centrale elettrica – l’unica nella Striscia di Gaza – lasciando a diposizione di gran parte della popolazione palestinese solo 6 ore di elettricità al giorno. Tale carenza di corrente elettrica si è riversata sullo stato dei pazienti di Gaza, mettendone a rischio salute e la stessa esistenza.
In tempo di estrema violenza, come è stato fino a poche ore fa, in particolare nel fine settimana scorso, con cinque giorni non-stop di bombardamenti israeliani, 26 vittime e 75 feriti palestinesi, quasi tutti civili, gli ospedali di Gaza hanno lottato pur di poter accogliere e salvare la vita di quanti sono arrivati nelle strutture locali.

Bassam ‘Ali al-Hamadeen, direttore dell’ingegneristica e della manutenzione all’ospedale di Gaza ash-Shifa, fa i conti con questa situazione ogni giorno.
“I pazienti maggiormente a rischio sono coloro che si trovano in terapia intensiva, i bambini, i dializzati, e coloro che devono sottoporsi a interventi di chirurgia. Grazie a Dio, ad ora non ci sono stati decessi derivanti direttamente da questa situazione. Tuttavia, dobbiamo affrontare altri tipi di perdite a causa della crisi elettrica. Nelle ultime due settimane si sono guastati i generatori di sei cliniche di base. I generatori non hanno la capacità di funzionare per il tempo di cui abbiamo bisogno, ma sono stati pensati per far fronte alle emergenze, quindi per funzionare soltanto poche ore. Oltre a ciò, i nostri generatori e i macchinari sono stati danneggiati, proprio a causa dei frequenti tagli all’elettricità, come anche a causa della variazione, anch’essa frequente, di distribuzione di corrente. Non abbiamo pezzi di ricambio, né olio per ripararli”.

Kamal Abu Obada, vice direttore dell’Unità di terapia intensiva nello stesso ospedale, è consapevole del rischio che i suoi pazienti corrono. “In qualità di medico, ammetto che è molto deprimente. Ogni volta che intervengo sulla vita di un paziente e l’elettricità viene interrotta, sono tutti a rischio. Se dovesse loro accadere il peggio allora, tutti i miei sforzi sarebbero vani”.

Nei periodi di grave carenza di carburate ed elettricità, il ministro della Salute ha sempre dichiarato lo stato d’emergenza, come è accaduto nel mese di febbraio. In questi periodi tutti gli interventi di chirurgia vengono sospesi, tranne i casi d’emergenza. L’aria condizionata è ferma, come pure il riscaldamento, e il sistema di sterilizzazione di acqua e della lavanderia è limitato, con chiare conseguenze iginico-sanitarie. Non possiamo mandare un paziente in sala operatoria, a meno che non sia strettamente necessario. Dobbiamo sospendere tutti gli altri trattamenti e gli esami diagnostici”.

“Quando l’elettcità viene tagliata, diamo manualmente ossigeno ai pazienti per mezzo di maschere. Ma anche qui abbiamo dei problemi, due in particolare: anzitutto non disponiamo di organico a sufficienza da riuscire a prestare servizio a tutti i pazienti, in secondo luogo, è difficile controllare manualmente la quantità di ossigeno, rischiando che si formi aria nella sacca fino a raggiungere i polmoni. Inoltre, una volta ripristinata la corrente elettrica, siamo costretti a riprogrammare di nuovo tutti i macchinari”.

Abu Obada deve fare i conti con i danni materiali conseguenti all’interruzione di elettricità: “Quando l’elettricità si ferma, i monitor del cuore e del sangue si spengono. I sensori interni alle macchine si guastano. Quindi il sistema d’allarme si spegne e non c’è attendibilità sulla loro funzione di misurazione, quindi non siamo più in grado di capire se un paziente stia entrando in pericolo o meno”.

Anche i pazienti sentono la minaccia della crisi elettrica. “Alcuni di essi si accorgono quando l’elettricità viene interrotta. In quei momenti ci ascoltano e temono per le propria vita e quella degli altri nelle loro stesse condizioni”, ha aggiunto e concluso Abu Obada.